Intervista con Paolo Musio, protagonista del cortometraggio “Il prigioniero” di Federico Olivetti, uno degli eventi speciali alle Giornate degli Autori 2019 

“Il prigioniero” di Federico Olivetti, prodotto dalla casa di produzione veneziana Kama Productions e girato a Padova, sarà uno degli eventi speciali alle Giornate degli Autori 2019 nell’ambito della 76a edizione della Mostra del Cinema di Venezia.

Il cortometraggio ha come protagonista Paolo Musio, padovano di nascita, diplomatosi all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico” di Roma, attore, regista, autore di testi e adattamenti teatrali di grande successo. Al suo fianco troviamo Sabrina Impacciatore in quella che si potrebbe definire una breve storia di prigionia paradossale. Paolo e Maria sono due “sposini ordinari” che vivono alle porte del paese. Una mattina Paolo esce di casa per comprare del pesce e non torna più. Giù in paese, in piazza, una donna è stata derubata di una preziosa collanina da un malandrino sedicenne che riesce a scappare dopo il misfatto, e Paolo, incrociandosi con la donna e la gente del paese, viene additato dalla vittima e accusato del furto. Allora scappa ma alla fine viene acciuffato da un poliziotto e portato in una cantina. Lì il poliziotto gli ordina di stare immobile ad aspettare il suo ritorno. Nel frattempo la moglie, lo cerca in lungo e in largo.

Abbiamo fatto una piacevole chiacchierata con Paolo Musio, ecco cosa ci ha raccontato.

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Paolo, è il protagonista del corto “Il prigioniero” che verrà presentato a Venezia alle Giornate degli Autori 2019. Può presentarci il suo personaggio?

“Il prigioniero racconta una storia semplice che si avvita su se stessa e il mio personaggio, Paolo, prendendo alla lettera un ordine, rimane come fisso, fermo, in una situazione che lo danneggia. Ho amato molto la scrittura di Olivetti che è riuscito a creare tante situazioni diverse in poco tempo, partendo da un mondo che sembra tranquillo, ordinato, da una cittadina del Veneto. Questa serenità si sfalda per un malinteso, e anche per un modo equivoco di intendere l’obbedienza alla legge. Paolo esce di casa per andare a fare la spesa, vive in campagna, entra in città e viene scambiato per un ladro. Da qui deriva una serie di fatti che lo inchioda in una situazione che cambia completamente la sua vita”.

Come si è trovato sul set?

“E’ stato molto bello girare questo corto con gli altri colleghi, prima di tutto Sabrina Impacciatore, meravigliosa donna e attrice, che è stata generosa, piena di vitalità, una compagna di lavoro fantastica. L’atmosfera sul set era molto bella, ci siamo innamorati tutti di questo progetto”.

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Il cortometraggio è stato interamente girato fra Padova e provincia. Un ottimo modo per far conoscere al mondo le bellezze della città… 

“E’ molto interessante il modo di girare questo corto. Partendo da un esterno, da una natura, piano piano l’occhio del regista ci guida attraverso i portici fino ad arrivare a una cantina, quella del palazzo Papafava di via Marsala, dove avviene il mutamento della situazione raccontata, dove tutto quello che era solare diventa scuro e la realtà rassicurante scompare”.

Un film che racconta una prigionia paradossale e che fa riflettere sul tema della giustizia e dell’obbedienza alle leggi…

“Abbiamo bisogno di operazioni culturali che ci invitino a riflettere, a prendere le misure con il mondo che ci circonda, questo è uno di quei film costruiti con un’adesione assoluta all’idea che ci sia pensiero e nella sua semplicità e leggerezza, che è la sua grande qualità, porta temi importanti, come obbedire. Se dobbiamo obbedire a una legge a quali legge obbediamo, sappiamo a chi stiamo obbedendo? Il mio personaggio obbedisce a un ordine, dentro il quale c’è o non c’è del senso? Sono grandi interrogativi che il film mostra in modo semplice. Non a caso è stato realizzato da un regista colto, con una cultura profonda e assimilata”.

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Cosa rappresenta per lei il teatro?

“Il teatro è una grande occasione, una grande invenzione dell’uomo che vede confluire dentro un unico linguaggio tutti i temi forti della società e dell’individuo, un luogo in cui ci si può confrontare dal vivo su grandi tematiche. Nessuna invenzione tecnologica, nessuna altra arte può cogliere questa dimensione del presente assoluto che solo il teatro può dare. Attraverso le altre arti ci sono poi risvolti visivi, la musica, il canto, i testi, la recitazione, la gestualità, la danza, il teatro è un crocevia, è una somma di tutte le arti”.

Ha lavorato nel corso della sua carriera con grandi registi. Qual è lo spettacolo teatrale a cui è piu’ legato?

“Il teatro è tutta la mia vita, da quando sono uscito dal liceo ho sempre recitato. Ho fatto l’Accademia e ho lavorato con tanti registi importanti come Ronconi, Castri, Nekrosius, Cobelli, poi ho incontrato un maestro come Terzopoulos con cui ho fatto le esperienze piu’ estreme e credo di aver superato la mia zona limite recitando in particolare nelle tragedie greche. “Eremos” è lo spettacolo che porto nel cuore, tratto da Carlo Michelstaedter, con contenuti filosofici ma vissuti nel corpo, su basi di filosofia presocratica e uno sfondo del Novecento. Michelstaedter era un giovane goriziano che a 23 anni si è ucciso dopo aver messo insieme dei materiali per la tesi di laurea dove legge l’intero Novecento nonostante lui sia morto nel 1910″.

A quali progetti sta lavorando?

“Riprenderò con Massimo Popolizio “Un nemico del popolo”, il dramma di Ibsen, saremo in tournée in tutta Italia da gennaio ad aprile 2020, con Terzopoulos c’è in programma di portare in scena Baccanti di Euripide nel 2021, prodotto con Emilia Romagna Teatro. Un progetto per me molto caro perchè Terzopulos è la persona che mi ha dato la piu’ completa visione del teatro”.

di Francesca Monti

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