120 battiti al minuto uscirà nelle sale italiane il 5 ottobre, distribuito da Teodora Film

Salutato dalla stampa internazionale come uno dei grandi titoli dell’anno, dopo il debutto al Festival di Cannes (dove ha conquistato il Grand Prix, il Premio Fipresci e la Queer Palm) 120 battiti al minuto sta riscuotendo nelle sale francesi un risultato al di sopra di ogni attesa: oltre mezzo milione di spettatori nelle prime tre settimane di programmazione, per un film che sta riportando al centro del dibattito culturale, politico e sociale una delle grandi battaglie del XX secolo.

Nella Parigi dei primi anni Novanta, il giovane Nathan decide di unirsi agli attivisti di Act Up, associazione pronta a tutto pur di rompere il silenzio generale sull’epidemia di AIDS che sta mietendo innumerevoli vittime. Anche grazie a spettacolari azioni di protesta, Act Up guadagna sempre più visibilità, mentre Natha n inizia una relazione con Sean, uno dei militanti più radicali del movimento.

“Ho amato il film dal primo all’ultimo minuto – ha dichiarato commosso Pedro Almodovar, presidente della giuria di Cannes, dopo la premiazione -: Campillo ha raccontato le storie di eroi veri che hanno salvato molte vite”.

​”Mi sono unito a Act Up-Paris nell’aprile del 1992, più o meno a 10 anni dall’inizio dell’epidemia di AIDS – spiega il regista Robin Campillo -. Fin dal primo incontro a cui ho partecipato, sono rimasto profondamente colpito dall’entusiasmo del gruppo, considerando che quegli anni sono stati i più duri del contagio. I gay che avevano subito inermi la malattia negli anni Ottanta, erano diventati attori chiave nella battaglia per sconfiggerla. La forza del movimento veniva dalle scintille che scoccavano tra gruppi diversi di individui che imparavano sul campo a costruire un discorso e una posizione comune al di là delle differenze. Con Philippe Mangeot, ex membro di Act Up che ha collaborato con me alla sceneggiatura, eravamo d’accordo sull’importanza di restituire innanzitutto la polifonia di voci e l’intensità delle discussioni. Oggi grazie a internet possiamo avere facilmente la sensazione di appartenere a una battaglia comune, ma questo modo di aggregarsi è difficile che prenda davvero corpo e metta radici. A quei tempi le persone dovevano unirsi fisicamente in uno spazio reale, fronteggiarsi gli uni con gli altri e confrontare le proprie idee.”

 

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