“Volevo fare la rockstar” è il nuovo disco di Carmen Consoli: “Per sognare ci vuole il cuore”

Il 24 settembre esce “Volevo fare la rockstar” (Narciso/Polydor), il nuovo disco di inediti di Carmen Consoli, che arriva a cinque anni di distanza dal precedente.

Un album intenso, ricco di immagini fiabesche ed oniriche, in un continuo e armonioso alternarsi tra passato, presente e futuro, tra sogno, impegno e progetto, un invito a “respirare col cuore”, composto da dieci tracce, che fanno riflettere e sognare, infatti i due concetti centrali del progetto sono i sogni e il cuore.

In copertina c’è la cantautrice da bambina: “Quando andavo a scuola, essendo mancina, mi hanno imposto di scrivere con la mano destra. Nella foto impugno una penna che è smangiucchiata, perché ero nervosa. Tutto è cominciato tra i banchi e dai miei piccoli sogni in questa Italia tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta, in una famiglia, la mia, in cui convivevano due realtà, il Nord e il Sud, infatti mia madre è di origine veneta, mio padre era siciliano. Sono cresciuta con la polenta e la caponata e con mamma che univa in cucina i sapori di queste due Italie. Nel contempo in quegli anni nel nostro Paese accadevano alcuni fatti: le persone uccise dalla mafia a Catania, un violento terremoto in Irpinia, l’Italia che vinceva i Mondiali. A sette anni avevo ricevuto in regalo da mio padre una musicassetta di Elvis Presley che ascoltavo nel mangianastri all’infinito. Da lì è partito il sogno di fare la rockstar, che per me significava stare su un palco, con le luci colorate, avere una vera chitarra e una gomma da masticare rosa per fare bolle enormi. E poi volevo andare in America. Questa era la mia idea di rockstar. Così ho costruito un microfono con una lampada tascabile e uno starter che creava l’effetto intermittente”.

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Un sogno che è stato sempre appoggiato e incoraggiato dai suoi genitori: “Quando tornavo da scuola negli anni Ottanta a Catania c’erano le faide e capitava spesso di vedere degli uomini stesi a terra, con le scarpe nuove e un lenzuolo che li copriva. Mio padre per non spaventarmi diceva che si erano addormentati per strada e di pensare alla musica, per distogliere la mia attenzione da quello che vedevo. Poi mi ha regalato una chitarra vera e mi ha insegnato a suonarla. Ho così imparato che quando la realtà non mi metteva a mio agio potevo sognare ad occhi aperti. A scuola guardavo la lavagna con gli insiemi e immaginavo di cantare, di scrivere musica, di suonare in un complesso con altri bambini. Ho avuto la fortuna di nascere in una famiglia di sognatori. Ho imparato che il sogno diventa progetto, che deve essere seguito da una serie di azioni e atti. Se sai già cosa vuoi fare nella tua vita devi lottare per raggiungere l’obiettivo. A volte è necessario sfidare la paura della vertigine e aprire il proprio cuore. Mio padre diceva che il talento non basta, serve anche la coerenza che ha bisogno di tempo”.

Tra le tracce c’è “L’Aquilone”, dedicata a un ragazzo che sapeva sognare (“dicevi che tutto è possibile / che nell’infinito prima o poi due rette si incontrano”) ma che ha messo da parte quei sogni: “Oggi tutto passa velocemente, non c’è tempo per sognare, ma cerchiamo di raggiungere ciò che gli altri si aspettano da noi e così ci dimentichiamo di noi stessi per essere produttivi. Nella società odierna il più forte schiaccia il più debole senza preoccuparsi delle conseguenze. Sul finale del pezzo entra l’orchestra come a ricordare che per questo sogno che hai messo in cantina forse hai la chiave per tirarlo fuori”.

In “Mago magone” invece le carte dei tarocchi (il mago, gli amanti, il carro, la giustizia, la fortuna, il diavolo, le stelle, la luna) sono una metafora di certi manager e politici che promettono facili prodigi, facendo leva sulle debolezze d’ognuno: “Insieme a mio figlio Carlo abbiamo immaginato la voce di questo mago che arriva da lontano in questo villaggio fiabesco e attira gente con la magia, ha una soluzione per tutto e conosce i tasti dolenti. Questo “Messia” è una sorta di buttafuoco e a un certo punto diventa una rockstar e viene imitato dal suo pubblico di seguaci che balla come lui, si muove nello stesso modo”.

“Imparare dagli alberi a camminare” si apre con il segnale radio Wow!, perfettamente codificato e rilevato dagli astronomi negli anni Settanta. La sua provenienza esterna al sistema solare, in direzione della costellazione del sagittario (“il mite centauro stellare”) alimentò paure e fantasie sulla vita extra terrestre. Nella canzone quelle paure si incrociano con i sogni e gli incubi di un bimbo che dorme: “L’ho scritta all’inizio della pandemia. Avevamo iniziato a lavorare al disco che doveva uscire ad aprile 2020 e quello che accadeva in Cina a Wuhan sembrava così lontano da noi. A un certo punto ci siamo ritrovati chiusi in casa, io, mia madre, mio figlio e la babysitter. Non si sapeva cosa sarebbe successo e avevamo un po’ paura di questo virus. Carlo dormiva nel letto insieme a me e tirava calci e parlava nel sonno, sognando di vedersi con i suoi amichetti che non poteva incontrare. Io cercavo di rassicurarlo che tutto sarebbe finito presto. Stava succedendo qualcosa che disturbava i nostri sogni ma avevamo aperto il nostro cuore. Da una parte è stato bello stare con la famiglia, fare il pane in casa, vedere la natura fiorire e riprendersi i propri spazi, dall’altra c’era la voglia di tornare alla normalità. Con questo brano volevo descrivere la situazione che vivevamo ma senza parlare del covid”.

Carmen Consoli

“Le cose di sempre” è invece una lettera che Carmen ha scritto a suo figlio per indicargli il valore delle cose, il rispetto dovuto all’altro e alla natura: “E’ l’ultimo brano che ho composto alla fine del lockdown, eravamo al mare, in zona bianca, e ho pensato a Mowgli del libro della giungla. Io sono la persona che deve indicare la strada a Carlo, insegnargli il valore della parola e l’essenza degli uomini, ma anche l’importanza ad esempio di aiutare i migranti che arrivano dal mare. In questa selva oscura odierna prima o poi arriverà la luce che è quella dei sogni che non sono intangibili. Per sognare ci vuole il cuore, l’universo obbedisce al cuore e all’amore”.

“Armonie numeriche” è invece dedicata all’amato padre, scomparso qualche anno fa, scritta dopo un sogno: “Il 4 settembre, il giorno del mio compleanno, ero nel dormiveglia e ho sentito il profumo del dopobarba di mio papà, così sono rimasta nel letto altri dieci minuti perché volevo conservare quel momento. Sognavo che fosse lui a farmi gli auguri. Il titolo della canzone deriva dal fatto che le armonie sono regolate dalle leggi matematiche”.

Carmen Consoli ha poi parlato dell’attuale situazione del settore musicale e ha ricordato che “l’arte può essere una risorsa economica. Inoltre abbiamo bisogno di sedimentare tutto ciò che abbiamo vissuto e la musica, il teatro, il cinema ci possono essere di aiuto”.

La cantautrice ha poi dichiarato di voler tornare sul palco dell’Ariston: “Il Festival di Sanremo fa sempre parte dei miei piani. Lo amo, in questo sono una vera italiana. Avere quei musicisti eccellenti alle spalle che ti accompagnano è fantastico. Spero che il Festival sia sempre più bello e ricco di fiori che sbocciano, intesi come nuove proposte”.

Infine un ricordo del Maestro Franco Battiato: “Mi ha sempre detto di seguire il mio cuore. Mi stupiva la sua enorme ironia e quella generosità impalpabile. Quando abbiamo cantato insieme “Tutto l’universo obbedisce all’amore” mi consigliò di usare la tonalità maschile e magicamente in un punto del brano le nostre voci si sono unite diventando una sola. Così nel concerto tributo all’Arena di Verona ho deciso di interpretare quella canzone con la stessa tonalità, come avrebbe voluto Franco, a cui mi legava una grande amicizia. Ero molto emozionata e commossa ma alla fine sono riuscita a cantare”.

di Francesca Monti

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