Intervista con Marco Palvetti, tra i protagonisti della serie “Unwanted – Ostaggi del mare”: “E’ stata un’esperienza meravigliosa recitare con attori provenienti da varie parti del mondo parlando lingue diverse”

“E’ stato importante per me raccogliere delle informazioni su quello che significa oggi essere una persona che appartiene alle Forze dell’Ordine, che ha un contatto diretto con una routine fatta di strada per capire gli stati d’animo, ma volevo anche comprendere la situazione dei migranti oggi e in che modo si è evoluta nel tempo”. Marco Palvetti è tra i protagonisti di “Unwanted – Ostaggi del mare”, la nuova serie in otto episodi, con la regia di Oliver Hirschbiegel, prodotta da Sky Studios insieme a Pantaleon Films e Indiana Production, in esclusiva su Sky e in streaming solo su NOW, in onda ogni venerdì dal 3 novembre, liberamente tratta da “Bilal” (La nave di Teseo), il libro inchiesta del giornalista sotto copertura Fabrizio Gatti sul viaggio da lui intrapreso lungo le rotte del Sahara, popolate non solo dai migranti che si spostano dall’Africa per raggiungere l’Europa ma anche da quanti fanno affari lucrando sulla loro disperazione.

“Unwanted – Ostaggi del mare” racconta come due mondi, da sempre tenuti a distanza, si trovino a scontrarsi nel momento in cui un gruppo di naufraghi africani viene tratto in salvo da una lussuosa nave da crociera in viaggio nel Mediterraneo.

Nella serie il poliedrico attore, amante delle lingue straniere e dello sport, del quale il pubblico ha potuto apprezzare le grandi qualità interpretative in vari lavori di successo, tra cui “Gomorra – La serie”, “In punta di piedi”, “Il Commissario Ricciardi” nel ruolo di Falco, “I Medici 3” e “Devils”, dà il volto a Nicola, un carabiniere originario di Caserta, sposato con Diletta (Denise Capezza). La coppia ha intrapreso una crociera in Europa con l’obiettivo di rilassarsi e concepire il bambino che ancora non hanno avuto. Nicola nei confronti dei migranti ha un atteggiamento disincantato mentre Diletta è più sognatrice.

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Marco Palvetti e Denise Capezza in “Unwanted – Ostaggi del mare” – credit foto ufficio stampa Sky

Marco, nella serie “Unwanted – Ostaggi del mare” interpreta il carabiniere Nicola. Come ha lavorato per entrare in questo personaggio?

“E’ stato importante per me raccogliere delle informazioni su quello che significa oggi essere una persona che appartiene alle Forze dell’Ordine, che ha un contatto diretto con una routine fatta di strada per capire gli stati d’animo di chi si ritrova in quel contesto e torna a casa poi alla sera e si stringe attorno alla sua famiglia. In questo caso alla moglie Diletta (Denise Capezza). Loro non hanno ancora un figlio o una figlia, ma sentono questo forte desiderio di allargare il nucleo famigliare. Oltre a questo volevo comprendere la situazione dei migranti oggi e in che modo si è evoluta nel tempo. Il libro “Bilal” di Fabrizio Gatti e i suoi reportage mi sono stati di aiuto anche per intuire come il mio personaggio potesse, all’interno della sua parabola, evolvere questo suo pensiero da pseudo-razzista. Chiaramente è un uomo che vive la strada, vede delle cose e deve risolverle in maniera pragmatica”.

Il regista della serie, Oliver Hirschbiegel, ha spiegato che il compito era essere autentici e non esprimere giudizi sui personaggi, che partono in una maniera ma nascondono dei lati che emergono nel corso della storia…

“Questo microcosmo che puoi ritrovare su una nave da crociera nasconde dietro quel consumismo ostentato tante debolezze, tanti luoghi interiori che vengono un po’ anestetizzati. Nel momento in cui subentra un agente esterno così forte che ti mette di fronte a una realtà dura, cruda, la domanda è: chi è l’ostaggio di chi? Forse siamo ostaggi di noi stessi o delle nostre idee, almeno fino a prova contraria. Non c’era la volontà di giudicare ma talvolta sono i fatti che ci mettono in condizione di giudicare noi stessi e questo avviene in certi momenti con i personaggi per dare la possibilità di scoprire qualcosa in più di loro”.

A proposito di realtà che viene nascosta, all’inizio del primo episodio si dice che “gli ospiti sono qui per vivere un sogno e la realtà deve stare a casa”, è quello che in qualche modo ritroviamo anche nella società di oggi, dove tante cose riguardanti importanti tematiche tendono a venire celate per interesse, per convenienza…

“Credo che sia totalmente vero quello che dici. Purtroppo questo avviene perchè tutto gira intorno alla libertà. Si pensa che in determinati contesti le persone possano essere libere e viene data loro libertà in qualunque direzione. Ciò significa che in qualche modo siamo vittime di un consumismo eccessivo e anche della voglia di apparire. Oggi la gente ha bisogno di mettersi in vetrina. Questo è il problema e fa parte di quelle cose che anestetizzano la percezione della realtà perchè si pensa che si debba consumare di più. La crociera è l’emblema del lusso, dell’essere più forte della potenza del mare, pensando di poterla controllare. Questo ci mette davanti a un tipo di muro che diventa un nostro limite. Pensiamo ad esempio di essere più liberi sui social postando foto e stati ma in realtà ne siamo vittime, inoltre non si sa chi si nasconda veramente dietro questi profili, che diventano quindi una minaccia per la libertà e per la verità”.

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credit foto ufficio stampa Sky

“Unwanted – Ostaggi del mare” è una serie coraggiosa, in quanto affronta un tema attuale come quello delle migrazioni, raccontando le storie di chi non ha voce e purtroppo viene spesso considerato soltanto un numero. Che importanza può avere la tv per far riflettere le persone?

“Siamo in un’epoca particolare dove tutto ciò che riguarda anche l’arte purtroppo è sempre legato al mercato e quando questo accade diventa politica, diventa qualcosa che non sai che direzione possa prendere. Il mercato muove i fili e questo porta a chiedersi fino a che punto ci si possa fidare di un mezzo quando tutto alla fine si basa solo sulla mera vendita. Non so quale sia la soluzione ma c’è un rapporto con noi stessi che possiamo coltivare per portare avanti la coerenza in un ambito personale e famigliare. Se tutte le persone ragionassero in un determinato modo, se tutte le famiglie avessero questo tipo di approccio, la società avrebbe una forza maggiore e il mercato potrebbe prendere una diversa direzione. Oggi però non abbiamo una visione abbastanza chiara di quello che sta avvenendo”.

Diceva all’inizio che per preparare il suo personaggio si è documentato sulle migrazioni. Girare questa serie l’ha portata a fare qualche riflessione in più o a cambiare la sua prospettiva riguardo questo tema?

“Sicuramente. Credo sia inevitabile porti delle domande o fare delle riflessioni quando cerchi di impugnare il tuo lavoro in un certo modo, quando lasci che qualcosa entri e poi esca da te in questo scambio che non è mai banale, dove tu dai delle cose al personaggio e lui ne restituisce altre, magari anche in maniera inconscia”.

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credit foto ufficio stampa Sky

In passato ha avuto modo di recitare in altre produzioni internazionali come Devils e I Medici, ma che esperienza è stata lavorare sul set di “Unwanted – Ostaggi del mare” con attori provenienti da varie parti del mondo che parlavano in inglese, italiano, tedesco, francese e diversi dialetti africani?

“Una delle mie grandi passioni sono le lingue straniere. Parlare di migrazione significa anche parlare di integrazione che credo dovrebbe essere innanzitutto un’idea, talvolta infatti non siamo capaci di integrare noi stessi nella nostra vita o qualcuno che abbiamo intorno senza richiamare per forza la tematica dell’immigrazione nel nostro gruppo sociale o nella nostra famiglia. Il punto è cercare di comunicare e per farlo dobbiamo condividere la necessità di vivere quell’ambiente e di avere un codice comune. La lingua ci dà la possibilità di entrare nel modo di pensare della gente perchè detta le regole del pensiero, è un riflesso di quello che abbiamo nel nostro codice interiore e di conseguenza è uno specchio di quello che noi riportiamo. Quando non tentiamo un avvicinamento e non tendiamo all’altro abbiamo dei modi di pensare diversi, pertanto è come se fossimo giustificati da quello che la società ci ha dato in pasto per anni. Ecco perchè occorre in qualche modo sfibrare queste sicurezze e sicuramente la lingua ti può aiutare. Lavorare sul set di “Unwanted – Ostaggi del mare” è stata un’esperienza meravigliosa. Non parlavo mai in italiano, ma in francese, in spagnolo, in inglese e questo mi ha permesso di condividere pienamente con le altre persone un viaggio, non solo lavorando in una direzione comune ma anche integrandoci in qualche modo”.

Tra i vari progetti a cui ha preso parte nella sua carriera c’è “Il caso Pantani”, dove ha recitato in romagnolo vestendo i panni dell’indimenticabile Marco Pantani…

“E’ stata un’esperienza profonda, che ha solcato qualcosa dentro di me. Marco era un campione e lo sarà per sempre. Anche in quel caso c’è stato uno scambio con il personaggio e mi ha fatto comprendere tante cose della società contemporanea. Oggi come allora ad esempio il talento non viene sempre amato ed apprezzato quando non appartiene ai poteri forti. Anzi la forza dei social ha reso ancora più fragile chi non è protetto ed è quindi alla mercè di chiunque, che può dire qualunque cosa. Marco non era d’accordo con questo e io la penso come lui. La mia necessità era riportare sullo schermo, al di là del grande atleta, qualcosa che potesse esprimere quel tipo di disagio nei confronti dei poteri forti che lo mettevano alle strette e non gli davano la possibilità di vivere come voleva. E’ stato fondamentale avvicinarmi a quella che era la freschezza, la giovialità, la prontezza, la capacità di risolvere i problemi tipiche della gente dell’Emilia Romagna che abbiamo rivisto anche quando purtroppo c’è stata la recente alluvione. Per rendere tutto ciò non potevo prescindere dal dialetto, dall’accento, dalla ricerca di un modo di dire. Ricordo anche che un giorno venne sul set il migliore amico di Marco, si avvicinò a me tra un ciak e l’altro e aveva gli occhi pieni di lacrime. Mi disse: “per un attimo mi è sembrato di vederlo rivivere e mi ha dato un’emozione molto forte”. Mi sono commosso anch’io e ancora di più ho compreso che quella era la direzione giusta per entrare nel cuore delle persone. Il problema è che alla fine questo film non ha avuto l’attenzione che avrebbe meritato e ancora una volta al pubblico non è stata data la possibilità di poter cogliere questa bellezza”.

Tra i registi con cui ha lavorato c’è Alessandro D’Alatri, dal quale è stato diretto in quattro lavori. Le va di regalarci un suo ricordo?

“Era un caro amico. Ricordo ancora il nostro primo incontro… Non ci conoscevamo, ci siamo visti in maniera informale e mi disse che aveva apprezzato il mio lavoro e gli sarebbe piaciuto collaborare con me. Da lì siamo diventati amici anche fuori dal set, ogni tanto ci vedevamo e mangiavamo insieme quando era a Napoli. Alessandro tendeva verso il principio della qualità, nei suoi occhi vedevo l’amore per quello che faceva e la sincerità di chi ha riconosciuto il mio talento. Nel cuore porto un ricordo molto bello di una persona solare, a cui ho voluto bene”.

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Nel 2024 la vedremo anche nella serie “Kostas”, cosa può anticiparci a riguardo?

“Andrà in onda su Rai 2, è stata girata lo scorso inverno ad Atene ed è tratta da alcuni romanzi di Petros Markaris. Prima di iniziare le riprese ho iniziato a studiare il greco, perchè in Grecia viene utilizzato anche un alfabeto diverso e questo dopo un po’ ti dà un senso claustrofobico. E’ una lingua meravigliosa, che mi ha dato modo di scoprire tante persone. E’ stato bellissimo leggere sul loro viso lo stupore, la gioia, il piacere quando sentivano che parlavo la loro lingua. Avvicinarsi ad un popolo, ad una cultura in questo modo significa anche che questa gente può fidarsi di te ed accoglierti”.

In quali progetti la vedremo prossimamente oltre a “Kostas”?

“Dovrebbe venire realizzata un’altra stagione de Il Commissario Ricciardi e poi continuo a studiare le lingue, ad allenarmi perchè lo sport secondo me deve fare parte della routine. La società ha bisogno del nostro cervello che necessita dei nostri neuroni che sono aiutati dalla capacità di rigenerare loro e noi stessi, quindi dall’attività fisica, dallo studio e dalla curiosità. Questo fa parte dell’impegno dell’essere umano e dell’attore. Siamo in un momento storico molto delicato e lo è anche la posizione dell’artista in qualche modo esposto nell’arte e nella società, perciò bisogna fare la differenza”.

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Sappiamo che ha compiuto il cammino della magna via Francigena da Palermo ad Agrigento e che il suo sogno è partire da Napoli e arrivare a Santiago De Compostela, facendo 4000 km a piedi…

“Qualche anno fa ho intrapreso un cammino bellissimo da Palermo ad Agrigento, erano circa 290 km e ho compreso che per conoscere effettivamente un luogo devi recarti nei posti che non sono così turistici e scontati. Durante questo viaggio ho incontrato un uomo di sessant’anni, abbiamo iniziato a parlare e mi ha detto che sarebbe voluto andare dalla Sicilia a Santiago de Compostela. Io desideravo fare lo stesso tragitto partendo però da Napoli. Ho iniziato così a cercare i tracciati da seguire, mi sono allenato, ma è arrivata la pandemia che ha bloccato tutto. Spero però di realizzare presto questo sogno. Ad oggi non mi pongo il problema della comunicazione durante il percorso perchè ho migliorato il francese e lo spagnolo in modo tale da sentirmi tranquillo. Il cammino è un viaggio interiore forte che ti mette in contatto con te stesso e penso che oggi ne abbiamo davvero bisogno”.

di Francesca Monti

Si ringrazia Daniela Piu

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