“Nomadland”, il nuovo film di Chloé Zhao con Frances McDormand, uscirà in alcune sale IMAX il 29 gennaio prima della programmazione generale nei cinema e nei drive-in il 19 febbraio, giorno in cui sarà disponibile anche su Hulu

“Nomadland”, il nuovo film di Chloé Zhao con Frances McDormand, David Strathairn, Linda May, Swankie, premiato con il Leone d’Oro alla 77. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia e al Toronto International Film Festival, uscirà in alcune sale IMAX il 29 gennaio prima della programmazione generale nei cinema e nei drive-in il 19 febbraio, giorno in cui sarà disponibile anche su Hulu.

Searchlight Pictures, che fa capo alla major di Anaheim, conta poi di distribuire il film internazionalmente, pandemia permettendo, a partire dal 3 marzo.

Dopo il crollo economico di una città aziendale nel Nevada rurale, Fern carica i bagagli nel suo furgone e si mette sulla strada alla ricerca di una vita al di fuori della società convenzionale, come una nomade dei tempi moderni. Nomadland vede la partecipazione dei veri nomadi Linda May, Swankie e Bob Wells nella veste di guide e compagni di Fern nel corso della sua ricerca attraverso i vasti paesaggi dell’Ovest americano.

“La cosa più importante che ho imparato durante il film è ascoltare e non parlare. Imparare fa parte della vita di un attore. Si trattava di ascoltare le storie delle persone nomadi, non la mia. Eravamo un team di venticinque persone, abbiamo viaggiato per cinque mesi in sette Stati e siamo diventati un’entità unica. Abbiamo vissuto nelle comunità nomadi e spesso ci siamo ritrovati a pensare come sarebbe essere al loro posto”, ha raccontato Frances McDormand.

“Nell’autunno del 2018, mentre giravo Nomadland a Scottsbluff, Nebraska, vicino a un campo ghiacciato di barbabietole, mi ritrovai a sfogliare Desert Solitaire di Edward Abbey, un libro che mi aveva regalato qualcuno incontrato sulla strada. Sfogliandolo incappai in questo passaggio: “Gli uomini vanno e vengono, le città nascono e muoiono, intere civiltà scompaiono; la terra resta, solo leggermente modificata. Restano la terra e la bellezza che strazia il cuore, dove non ci sono cuori da straziare… a volte penso, senz’altro in modo perverso, che l’uomo è un sogno, il pensiero un’illusione, e solo la roccia è reale. Roccia e sole” (Edward Abbey, Desert solitaire. Una stagione nella natura selvaggia, trad. Stefano Travagli, Baldini & Castoldi, 2015). Per i successivi quattro mesi, mentre ci spostavamo per girare il film, fu un continuo andirivieni di nomadi; molti di essi conservavano rocce raccolte durante le peregrinazioni a bordo delle loro case su ruote alimentate dal sole. Dispensavano storie e saggezza davanti e dietro l’obiettivo della telecamera. Essendo cresciuta in città cinesi e inglesi, sono sempre stata profondamente attratta dalla strada aperta, un’idea che trovo tipicamente americana: la continua ricerca di ciò che sta oltre l’orizzonte. Ho tentato di catturarne uno scorcio in questo film, sapendo che non è possibile descrivere veramente la strada americana a un’altra persona. Bisogna scoprirla da soli”, ha raccontato la regista. “La natura è per me un tema fondamentale. Sono convinta che i paesaggi trasmettano dei messaggi. Per questo ho scelto la musica di Ludovico Einaudi. Mi ha molto colpito il video in cui suona tra i ghiacci dell’Artico. Quando si gira un film come questo bisogna creare un’ecosistema. Abbiamo cercato di introdurci nelle comunità di queste persone nomadi e abbiamo ascoltato le loro storie”.

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