“La mia vita è stata un percorso disastrato, un’avventura continua, una passione totale, con incontri, scontri, momenti esaltanti e frustrazioni. E’ un libro sincero, in cui mi sono messo a nudo”. Artista geniale, traversale, poetico, capace di regalare emozioni sia nei ruoli drammatici che in quelli leggeri, Alessandro Haber si racconta per la prima volta in un’autobiografia schietta, sincera e fuori dagli schemi, dal titolo “Volevo essere Marlon Brando (ma soprattutto Gigi Baggini)”, scritta con Mirko Capozzoli, in libreria dal 30 settembre, edita da Baldini+Castoldi.
In queste pagine ci parla della sua infanzia scanzonata a Tel Aviv e del successivo rientro in Italia, a Verona, della scoperta di una passione smodata per la recitazione e del desiderio di approdare a Hollywood, descrive nei particolari e senza peli sulla lingua una carriera lunga più di cinquant’anni, tra cinema, teatro, spettacoli e persino musica ma soprattutto ci incanta con il racconto di una vita tanto eccentrica quanto affascinante: le partite a carte con i suoi “maledetti amici”, le avventure e le invidie, le prime a teatro, i provini andati bene e quelli andati male, la corsa a conoscere Orson Welles incontrato per strada e le partite a tennis con Nanni Moretti, le belle donne, le occasioni perse, il sesso e i tradimenti, e poi l’amore incondizionato per Celeste, la sua amata figlia.
Nel corso della sua carriera nel cinema, Haber si è cimentato in ruoli drammatici e comici, lavorando con Paolo e Vittorio Taviani, Mario Monicelli, Pupi Avati, Nanni Moretti, Giovanni Veronesi, Leonardo Pieraccioni e molti altri. In teatro è stato diretto da alcuni tra i più grandi registi del Novecento, da Mario Missiroli a Carmelo Bene, da Carlo Cecchi a Luigi Squarzina.
In questa intervista che ci ha gentilmente concesso abbiamo parlato con Alessandro Haber della sua autobiografia ma anche dei prossimi progetti, dei corti “Il gioco” e “27.03.2020” e dei sogni che sono ancora nel cassetto.
Alessandro, è uscita la sua autobiografia “Volevo essere Marlon Brando (ma soprattutto Gigi Baggini)”. Ci racconta com’è nata l’idea?
“E’ un libro sincero, in cui mi sono messo a nudo, che non avrei mai fatto se non ci fosse stato il lockdown. Da tempo mi chiedevano un’autobiografia ed ora è arrivato il momento giusto. La mia vita è stata un percorso disastrato, un’avventura continua, una passione totale, con incontri, scontri, momenti esaltanti e frustrazioni. “Volevo essere Marlon Brando (ma soprattutto Gigi Baggini)” è un modo per stare ancora insieme al mio pubblico, per abbracciarlo. La gente che mi ha seguito in questi cinquanta anni mi riconoscerà quando lo leggerà. Il libro è stato una sorta di parto, come quando finisce uno spettacolo e c’è un momento di vuoto tra te e gli spettatori. Ora mi sento un po’ in una terra di nessuno, in quanto ho messo una vita dentro quelle pagine”.
“Noi attori creiamo affidandoci più alla fantasia e alla sensibilità che alla cultura, e poi c’è il talento, che non si compra al mercato né si insegna in Accademia”, scrive nel prologo…
“Mentre ripercorrevo la mia vita nel libro mi commuovevo pensando a quanto accaduto così rapidamente e all’idea che sono in lista d’attesa e tra un po’ ci sarà il nulla, il precipizio, si spegneranno le luci che mi sono piaciute e non piaciute. E’ stata una vita imperfetta ma non devo niente a nessuno. Ho lottato, non sono mai sceso a compromessi e credo che tutto ciò che mi è successo è stato grazie al talento che qualcuno mi ha regalato, che non si può comprare. E’ come quelli che hanno fede e prendono i voti… i miei voti sono il teatro, la musica, il cinema”.
In un passaggio del libro dice: “Ci sono due specie di attori: quelli che si trasformano e quelli che usano se stessi per arrivare al personaggio, che sono più intimisti e si servono delle loro facce. Io appartengo a questa categoria”. Come lavora dunque alla costruzione di un personaggio?
“Parte come se fosse un incontro animalesco, con la voglia di conoscere il personaggio, cercando di trovare delle attinenze e utilizzando la mia sensibilità nel regalargli una verità. Non sono uno che si trucca, che si trasforma, non uso orpelli. Ho invece la capacità di scoprire le cose come un bambino che è ignaro e si stupisce del mondo che ha intorno, per poi improvvisamente entrare dentro quel ruolo. Nel tempo ho accumulato tante esperienze e tanti colori, per me è necessario catturare la vita per poi poter rendere una paura, una cattiveria, una dolcezza, un sogno. Se vedo una persona zoppa o ascolto un racconto in cui si parla di un cieco assimilo le parole, i movimenti, è come se filmassi tutti questi aspetti che mi entrano dentro e poi per magia arriva quel colore. Quando ho fatto Andrea nello spettacolo “Il padre” in cui interpretavo un uomo affetto da Alzheimer ho incontrato la mamma di Gigio Alberti, che soffriva di questa malattia e che purtroppo ora non c’è più. Nel suo sguardo smarrito e perso ho colto qualcosa di magico che mi ha commosso, mi ha devastato e l’ho riportato in scena. Poi ho parlato con la direttrice di un ente di Milano che si occupa di malati di Alzheimer e mi ha spiegato che ogni tanto i pazienti tornano in sè, si rendono conto che qualcosa non va e si difendono aggredendo in maniera lucida, cattiva, per tornare un attimo dopo ad essere dei bambini innocenti. Magicamente come un camaleonte trovo il colore che serve per quel determinato ruolo, per rendere quell’emozione. La natura mi ha regalato questa possibilità. Ti faccio un altro esempio: ho recitato in un film che si chiama “Tommaso Blu” dove interpretavo un pugliese, diretto dal regista Florian Furtwängler, tratto dal suo libro Tuta blu. Quando hanno fatto la proiezione a Bari la gente è rimasta sconcertata perchè non parlavo il dialetto barese ma dopo un po’ si è dimenticata di questo ed è entrata in quel mondo e mi ha amato lo stesso perché sono stato vero e credibile. Quando ho interpretato Bettino Craxi nello spettacolo teatrale “Una Notte in Tunisia” ho tolto i capelli, ho messo gli occhiali, ho trovato alcuni gesti come quando appoggio la mano sulla fronte. Stefania, la figlia di Craxi, è venuta a Quirino in camerino piangendo e mi ha detto: “ho rivisto papà, la voce è uguale”. Non è vero ma ho fatto credere che quella voce fosse uguale, come un illusionista, e sono riuscito a dare delle emozioni. Quando sono in scena ho un’energia particolare, di cui non sono cosciente, mi rimetto in gioco, non ho sicurezza, è come se fosse sempre la prima volta, non ho quel perbenismo della recitazione, ma improvvisamente divento goffo, perfido, cinico, dolce”.
Alessandro Haber con Lucrezia Lante Della Rovere ne “Il Padre”
In un altro paragrafo afferma: “Ci sono artisti da quattro soldi che se la tirano e si sentono inavvicinabili e poi ci sono i grandi che giocano senza difese”. Dopo oltre cinquant’anni di carriera ha mantenuto quell’entusiasmo, quella passione e quell’umiltà di quel bambino che a Tel Aviv era affascinato dal mestiere di attore e di quel ragazzo che a Verona recitava davanti agli amici. Qual è il segreto?
“E’ come una droga, se non lavoro vado in astinenza, è un amore totale. Nella vita mi sento inadeguato, non sono un padre perfetto anche se farei qualunque cosa per mia figlia Celeste. Esco con gli amici, mi piacciono il cinema e la musica, ma quando sono sul palco mi sento protetto, sono a casa mia, è uno strano piacere, è come fare l’amore, è una missione da fare con leggerezza e ironia. Quando per strada la gente mi ringrazia per le emozioni che ho regalato sono felice e mi rendo conto che ho fatto delle cose che hanno un senso”.
Nel corso della sua carriera c’è uno spettacolo che è centrale e che ha interpretato diverse volte, “Morte di un commesso viaggiatore”, prima nel ruolo di Biff e poi in quello del padre Willy Lamon. Cosa la affascina di più di questa opera di Miller?
“E’ una tragedia contemporanea, racconta di sogni che non si realizzano, di un uomo dal carattere brutto che ha cercato in tutte le maniere, anche sbagliate, di tirare su una famiglia lavorando, sgobbando, che a un certo punto si accorge che la sua salvezza può essere l’assicurazione sulla vita e decide di uccidersi per far sì che i desideri dei propri figli possano realizzarsi. Willy assomiglia a tanta gente odierna che non riesce a trovare un’identità, anche nel lavoro, perché c’è la crisi e una realtà abbastanza inquietante. Loman è un uomo che non è riuscito a realizzare quello che voleva, come Gigi Baggini”.
E proprio Baggini, celebre personaggio interpretato da Ugo Tognazzi nel film “Io la conoscevo bene” è presente nel titolo del libro in contrapposizione al mito Marlon Brando…
“Baggini è un attore fallito, quando ho visto il film mi ha sconvolto quel personaggio e ho anche pensato che sarei diventato come lui, invece sono riuscito ad ottenere dei risultati. Se mi chiedessero di salvare uno tra Marlon Brando e Baggini sceglierei quest’ultimo per dargli una possibilità, perché mi fa tenerezza”.
Lei ha avuto modo di lavorare con Ugo Tognazzi, che ricordo conserva di questo gigante del cinema italiano?
“Ho avuto modo di recitare con lui e di essergli abbastanza amico. Ho un modo di lavorare che somiglia a quello di Ugo. Suo figlio Gianmarco mi dice spesso che gli ricordo suo papà e questo mi riempie di gioia. E’ un uomo che ha vissuto in maniera straordinaria. Negli ultimi anni ha attraversato una fase calante, una sera a cena mi ha detto: “Vedi Haber sta finendo tutto, il telefono non squilla”. La stessa cosa è successa a Vittorio Gassmann. Ultimamente anch’io penso spesso alla morte, allora cerco di lavorare per tenere la mente impegnata, perché appena c’è un attimo di vuoto mi smarrisco nei pensieri. E’ talmente bella la vita che mi preoccupa l’ignoto. In un attimo tutto può finire, si torna al buio e a un sonno perenne ed eterno”.
Tornando al presente, ha realizzato recentemente due corti che hanno riscosso grande successo, “Il gioco” e “27.03.2020”…
“”Il gioco” affronta un tema delicato, quello degli abusi dei genitori sui figli, è un mondo sommerso che nessuno denuncia. E’ un corto potente, che ha vinto diversi premi e che è visibile su RaiPlay. L’idea di “27.03.2020” è nata in quella giornata storica e irripetibile in cui Papa Francesco ha dato la benedizione in una Piazza San Pietro deserta, sotto la pioggia, con la croce con il Cristo come monito. Un’immagine che mi ha commosso, che mi ha straziato e ho voluto raccontare quel momento. Sono partito da una cosa trasgressiva, da un momento intimo di un uomo, per arrivare alla riflessione, al dolore, alla meditazione trascendentale”.
E’ uscito al cinema “I nostri fantasmi”, il nuovo film di Alessandro Capitani, in cui interpreta un ex militare…
“E’ un personaggio burbero, un ex militare chiuso in se stesso, ma importante nello svolgimento della storia. E’ stato bello tornare a lavorare con Alessandro Capitani dopo “In viaggio con “Adele” e insieme stiamo scrivendo un nuovo progetto”.
In quali lavori sarà prossimamente impegnato?
“Uscirà a breve il film “L’ombra di Caravaggio” diretto da Michele Placido, poi ho fatto un bellissimo ruolo ne “La terra delle donne”, opera prima di Marisa Vallone, ho recitato in “La Befana vien di notte 2” e poi spero di riprendere presto “Morte di un commesso viaggiatore” a teatro. Quest’estate ho fatto dei concerti, dei reading su Bukowski, delle letture su Dante. Infine sto montando un altro corto che si chiama “L’inganno”, dove racconto il problema delle mascherine perché non abbiamo più identità, espressione, non abbiamo più gioia e dolore, non riconosciamo le persone, siamo tutti omologati”.
A proposito di musica, per lei hanno scritto grandi cantautori, tra questi Francesco De Gregori, autore di “La valigia dell’attore”, contenuta nel suo primo disco “Haberrante” del 1995. Com’è nata questa collaborazione?
“E’ nata casualmente. Con Mimmo Locasciulli abbiamo pensato di pubblicare il mio primo album dal titolo Haberrante. Una sera eravamo a cena ed era presente anche Francesco De Gregori, che avevo incontrato in passato su un campo di calcio. Mimmo gli ha fatto ascoltare tre brani cantati da una voce nuova, la mia, e lui è rimasto entusiasta. Così gli ha detto che avrebbe prodotto il mio disco e io gli ho chiesto: “Me la scrivi una canzone?”. Una settimana dopo De Gregori ci ha fatto ascoltare “La valigia dell’attore” che aveva composto per me. Un vero e proprio capolavoro”.
Tornando al suo libro scrive: “I sogni che non ho esaudito non li ho ancora buttati nel cestino”. Ce ne può svelare qualcuno?
“Realizzare un film che ho scritto tempo fa partendo da un’idea mia e di Nicola Guaglianone che si chiama “Io e Bukowski”, uno scrittore che amo e che ho portato a teatro con lo spettacolo “Haberowski”. Poi vorrei riprendere “Il padre” che ha avuto grande successo con una tournée durata tre anni, infine mi piacerebbe fare Re Lear”.
Ha pensato di trasporre a teatro “Volevo essere Marlon Brando (ma soprattutto Gigi Baggini)”?
“Forse farò uno spettacolo, un one man show, tratto da questa autobiografia, che racconterò anche attraverso delle immagini”.
di Francesca Monti
Grazie a Giulia Civiletti