Intervista con Rossana Casale: “Il mio omaggio a Joni Mitchell, la mia prima guida”

“Lei è stata la mia prima guida, il mio primissimo ascolto, la mia maestra e da tempo desideravo cantare le sue canzoni per omaggiarla”. Si intitola “Joni” il nuovo lavoro di Rossana Casale, in uscita per Egea il 4 Novembre, un tributo alla cantautrice Joni Mitchell.

Il progetto, realizzato in studio e cantato in diretta con i suoi musicisti (Emiliano Begni al pianoforte, Francesco Consaga al Sax Soprano e Flauto Traverso, Ermanno Dodaro al contrabbasso, Gino Cardamone alla chitarra jazz), è un viaggio intenso, magico e poetico di settanta minuti attraverso tredici delle canzoni più importanti della Mitchell, oltre a un inedito a lei dedicato dalla Casale, “In and Out of Lines”.

Molti dei brani scelti per la scaletta fanno parte degli album ‘Ladies of the Canyon’ del 1969 e ‘Blue’ del 1970, anni nei quali l’artista racconta di aver trovato la chitarra della sorella e di aver iniziato a suonare i primi accordi.

Come in tutti i suoi precedenti dischi, da Strani frutti a Jaques Brel in me, Il Signor G e l’Amore, anche in “Joni” Rossana affida al jazz il compito di unire brani diversi in un unico racconto fatto di momenti profondi come in ‘For the Roses’ o ‘A case of you’, alternati ad altri più giocosi, come in ‘The Dry Cleaner from des Moines’ (dall’album ‘Mingus’) o ‘Carey’, etnico e solare.

Joni Mitchell, che il 7 novembre festeggia 79 anni, è considerata la grande madre del cantautorato americano. Nella sua lunga carriera ha registrato più di 25 album ispirando, con la sua musica e i suoi testi densi di poesia e immagini, artisti di tutto il mondo. Nel 2021 ha ricevuto uno dei premi più ambiti negli USA, i Kennedy Center Honors e nel 2021 un riconoscimento ai Grammy Awards. Dopo vent’anni lontana dalle scene, è tornata a sorpresa sul palcoscenico del Newport Folk Festival incantando il pubblico presente.

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credit foto Viviana Falcioni

Rossana, è uscito “Joni”, il suo nuovo disco, un omaggio in jazz a Joni Mitchell. Com’è nata l’idea?

“Il progetto è nato grazie ad una serie di persone, a cominciare dai miei allievi del Conservatorio di Parma dove insegno. Infatti nel programma didattico che ho creato per il biennio e il triennio c’è anche la musica di Joni Mitchell e abbiamo lavorare su di lei. Durante il periodo delle lezioni online a causa della pandemia mi sono resa conto che ai miei studenti mancava la musica e così quest’anno, dopo aver ripreso a marzo la scuola in presenza, ho proposto loro di fare un saggio per suonare dal vivo e ho pensato di omaggiare Joni Mitchell. I ragazzi sono stati molto contenti. Ho scelto i brani in base alle loro identità e mi sono rivista da adolescente quando suonavo i suoi pezzi a casa con la chitarra e ho cominciato a sentirla fiorire dentro di me. Un giorno a Roma ho incontrato una mia cara amica che lavora come ufficio stampa e le ho raccontato che mi sarebbe piaciuto cantare le canzoni di Joni Mitchell e lei mi ha detto che era una bellissima idea perchè la mia voce era perfetta. Avevo in cantiere un album di inediti ma la sera quando sono tornata a Viareggio ho chiamato a raccolta i miei musicisti in una call e ho detto loro che volevo realizzare un lavoro dedicato a Joni Mitchell, che è stata la mia prima guida, il mio primissimo ascolto.Sono rimasti stupiti ma mi hanno dato la loro disponibilità, quindi ho chiamato Enzo Vizzone, direttore di Egea Music, ed è stato entusiasta del progetto. Il 7 novembre è il compleanno di Joni e io volevo essere presente con il mio disco e ci sono riuscita”.

Come ha scelto i brani che compongono la tracklist del disco?

“Siamo entrati in studio, non avevamo tempo per provare, quindi la scelta dei brani è stata fatta sulla base di quello che ho ascoltato di più da piccola. Con “Woodstock” ad esempio sono stata ammessa al Conservatorio di Milano. Ho suonato questo brano davanti ai professori che guardavano questo scricciolo biondo al pianoforte, vestita di verde e sui tacchi neri. La chiave che ho lanciato ai miei musicisti, oltre al lavoro di ricerca delle tonalità che ho fatto da sola, è stata quella di trasferire le canzoni che Joni aveva suonato con la chitarra sul pianoforte e viceversa, in modo da allontanarmi da lei pur rispettandola, facendo vincere la mia personalità. Oltre che dall’album Blue ho scelto pezzi contenuti in altri dischi che amo molto e che sentivo potevano creare una scaletta importante. Avevo in mente di aprire “Joni” non con “I had a king” ma con “Song to a Seagull”. Io la canto quasi un’ottava sotto rispetto a lei e l’idea era di registrare un brano la mattina e provarne un altro per il giorno dopo in modo da riascoltarlo e fare i cambiamenti. Il primo giorno questa “Song to a Seagull” non nasceva, l’abbiamo rifatta tantissime volte finché alla venticinquesima take, quando abbiamo chiuso l’accordo finale e il pianista ha staccato il pedale, c’è stato un grande silenzio e io ho detto per me è buona e così anche gli altri musicisti. Da lì siamo entrati nel mood e abbiamo iniziato a registrare come dei matti, una settimana a luglio e una a settembre, scivolando come una barca senza remi in un fiume”.

In “Joni” è presente anche un inedito, “In and out of lines”, ci racconta qualcosa di più a riguardo?

“Questo brano nasce da un provino breve che mi ha mandato Ermanno Dodaro, il mio bassista, e che aveva chiamato Viaggio. L’ho ascoltato e gli ho chiesto di poterci mettere le mani, poiché quello che aveva pensato come strofa secondo me era uno strumentale che andava a dare identità a questo pezzo. Ho preso il provino, l’ho sezionato, l’ho messo sul computer e sugli accordi dove Ermanno aveva scritto questa parte strumentale ho composto una melodia per la strofa che entrava in questo inciso che poi ho raddoppiato. Gliel’ho mandato, gli è piaciuto e mi ha proposto di scriverci un testo. Io stavo preparando il tributo a Joni Mitchell ed ero pregna di lei, e quindi ho cominciato a scrivere un brano pensando a quanto le potessi essere vicina, alle delicate emozioni della scrittura, ai conflitti interiori che nascono quando si sente la necessità di mettere le mani in quei fondali che ho fatto diventare di mare, dove vengono nascoste tante cose: gli amori che non hai mai dichiarato, il perdono che non hai mai cantato, tutto ciò che è dentro di te e non hai esposto e là riesci ad esternarlo, pur causandoti un grande dolore. Infatti canto prima le parole dolci che ti aiutano a trasformare il buio in una cosa delicata, fatta di luce: “…nella mia mente di cristallo, dove le rose fioriscono come lune rosse piene, nascono nuove righe che crescono in sfumature di arcobaleno”“.

Rosana Casale ph.Viviana Falcioni

credit foto Viviana Falcioni

Possiamo dire che lei e Joni Mitchell avete in comune un percorso artistico che affonda le radici nel jazz…

“Joni nasce con il folk e poi scopre il jazz, io ho sentito la necessità di partire dalle canzoni alla chitarra che non erano jazz, per poi passare a questo genere quando incontrai Maurizio Fabrizio e mi chiese cosa volessi cantare. “Didin”, il mio primissimo brano, è una filastrocca che gira e che ho “rubato” dalle mani di Alberto Fortis in quanto ero molto vicina al suo modo di pensare la musica. Io e Joni Mitchell abbiamo fatto un percorso simile ma lei era la mia maestra e forse l’ho inseguita. Lei ha scoperto il jazz d’avanguardia, però tutte e due abbiamo trovato un linguaggio creativo che potesse aprire le porte alla nostra scrittura. La sua magia è stata trovare gli accordi di quarta sulla chitarra e poi cominciare a scordare lo strumento per cercare un suono. Non si è sentita obbligata da un accordo a creare una melodia ma è riuscita a fare una cosa molto innovativa, mai scontata”.

Ha mai avuto modo di incontrare Joni Mitchell?

“Ho avuto modo di farle fare un autografo ma purtroppo non lo trovo più perchè nel frattempo ho cambiato cinque case e non so dove sia finito, forse è dentro qualche libro. Joni mi ha scritto “Hi Rossana”, questo ciao era inusuale per noi, era come se mi avvicinasse a lei e mi ha colpito molto. Per me è un dolore non sapere dove sia”.

Presenterà “Joni” con un tour?

“Il 17 novembre farò il primo live al Jazz Festival di Padova presso il Teatro Verdi e a dicembre ho diverse date in programma tra cui quella del 22 alla Casa del Jazz di Roma dove farò un doppio concerto. Poi ci fermiamo e riprendiamo in primavera prendendo parte a vari festival di Jazz. Porterò avanti il tour per due anni”.

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Con Grazia Di Michele e Mariella Nava ha creato un progetto che porta il nome di “Cantautrici”, e realizzato il disco “Trialogo”. Proseguirà questa collaborazione?

“Ci vogliamo bene, Grazia è la mia più grande fan per questo disco, ci sentiamo spesso in chat e ci siamo appena viste al Premio Bianca D’Aponte dove lei era la madrina mentre io e Mariella eravamo in giuria. E’ stato un lavoro molto bello, però ora metto tutta la mia energia su questo disco”.

Ha preso parte diverse volte al Festival di Sanremo, cogliendo un terzo posto nel 1993 in coppia proprio con Grazia Di Michele con il brano “Gli amori diversi”. Le piacerebbe tornare sul palco dell’Ariston?

“La voglia c’è sempre, bisogna però essere sostenuti da una casa discografica che ti abbraccia e ti porta al Festival e da un direttore artistico che ti vuole. L’amore e la gratitudine nei confronti di Sanremo sono enormi”.

Ha iniziato la sua carriera come corista di grandi artisti, tra cui Mia Martini. Che ricordo ha di lei?

“Era un’artista che soprattutto amavi. La ascoltavo tutte le sere e più che una corista ero piuttosto una fan sul palco che cantava per lei. Ho amato la sua intensità, la sua espressione e interpretazione, era come una maestra per me. Avevo 17 anni, ero giovane, avevo voglia di giocare, di fare casino in albergo durante la notte però Mia sapeva che era amata da tutti noi e che la rispettavamo tantissimo. E’ stata una delle esperienze più importanti della mia vita lavorare con lei”.

Cosa hanno aggiunto al suo percorso artistico e umano le esperienze teatrali e nei musical, penso ad esempio a “La bottega degli orrori” o a “Un Americano a Parigi”?

“Hanno aggiunto tanto perchè fare musical e teatro ti insegna a stare in scena. Ho vissuto gli inizi della mia carriera più da musicista che da attrice in scena, non mi preoccupavo molto di come e dove stavo, in che posizione e come mi ponevo al pubblico, ero immersa nella musica, chiudevo gli occhi e poi mi trovavo di spalle senza accorgermene. Saper tenere il palco invece è fondamentale, perchè la tua forza viene trasmessa alla gente che ti sta seguendo. E’ come essere il capitano di una nave, devi porgere quello che tu stai portando con certezza e sicurezza, essendo chiara nel tuo intento e in quello che stai cantando. Adesso quell’esperienza che ho maturato con il teatro la richiedo anche ai miei musicisti. Siamo una famiglia, siamo uniti, ci stimiamo e siamo connessi, ma è importante anche il rigore”.

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Un’ultima curiosità: la foto della cover del disco è ‘Birdies in love’ dall’Opera ‘I Fuochi, ovvero la notte famosissima’ di Giac Casale, suo papà…

“Mio padre, che è mancato tre anni fa ed è stato uno dei grandi maestri della mia vita, che mi ha fatto amare il jazz e aprire gli occhi per guardare quello che ci circonda, ha realizzato un lavoro lungo dieci anni fotografando i fuochi d’artificio alla Festa del Redentore di Venezia che ricorda la fine dell’epidemia di peste che uccise tante persone. Si svolge tutte gli anni la terza domenica di luglio nel Canale della Giudecca dove c’è la Chiesa del Redentore. Le barche si ammassano nel canale e vengono lanciati questi fuochi che illuminano il cielo e creano mille disegni, sogni, meraviglie. Sulle banchine vengono messi i tavoli dove la gente si siede e mangia la polenta, il pesce, ed è una festa che da piccola aspettavo con gioia. Questo lavoro ha ricevuto diversi premi. Mio padre ha fatto una scelta tra centinaia di foto e ha creato uno spettacolo di slide che si connettono l’una con l’altra, avendo in sottofondo una colonna sonora. Nell’immagine viene rappresentato il momento in cui va a riprendere questi fuochi rossi che diventano come delle candele e sotto c’è la musica Ohm, tutto si ferma come in una grande preghiera fatta al cielo. Ho scelto uno di questi scatti perchè lo trovavo adatto per i brani che avevamo suonato e ho chiesto il permesso ai miei fratelli. E’ l’immagine perfetta ed è come se introducesse il disco”.

di Francesca Monti

credit foto Viviana Falcioni

Grazie a Elena Torre

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