QUELLA VOLTA CHE PELE’ VENNE A MILANO PER PRESENTARE IL FILM…

Mercoledì 25 maggio 2016, una giornata indimenticabile. C’era un bel sole e anche lo sciopero dei treni, così ero partita di buon mattino da casa con l’auto, per poi lasciarla a Rho e prendere la metro rossa che mi avrebbe portato a Milano alla Sala Buzzati, per la conferenza stampa del film “Pelè”, alla presenza del mito del calcio, ospite de La Gazzetta dello Sport.

Una volta arrivata a destinazione l’emozione era palpabile, così come la sacralità di quel momento. Del resto non capita tutti i giorni di trovarsi a pochi metri di distanza da O Rey.

Ad un certo punto Pelé ha fatto il suo ingresso in sala, accolto dall’ovazione dei presenti e da una standing ovation, e ha iniziato a parlare del film, della Ginga, del Brasile e del messaggio che voleva trasmettere alle nuove generazioni. Tutta la sala pendeva dalle sue labbra: “Sono molto felice. Ringrazio chi ha condiviso con me questa esperienza. Quando questi ragazzi sono venuti a dirmi che volevano fare un film sulla mia vita, ho pensato: “Sono matti, cosa vogliono fare?”.

In passato avevo lavorato come attore con grandi personaggi e quindi non capivo che tipo di opera volessero fare. Quando mi hanno mandato la sceneggiatura, ho visto la differenza perché questa pellicola racconta proprio gli inizi della mia vita e quindi ho accettato di farne parte”.

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Il film “Pelé”, diretto dai fratelli Jeff e Mike Zimbalist, infatti ripercorre i primi anni della vita del goleador, la povertà del suo Brasile, il rapporto con il padre, i primi successi fino alla clamorosa vittoria della Coppa del Mondo con la nazionale brasiliana a soli 17 anni. Ad interpretare Pelè, due sorprendenti e giovanissimi talenti al loro esordio, Leonardo Lima Carvalho e Kevin de Paula. Nel cast figurano anche Vincent D’Onofrio, Rodrigo Santoro, Diego Boneta e Colm Meaney. A produrre la pellicola, che tra i doppiatori italiani conta anche il famoso telecronista Bruno Pizzul, lo stesso Pelé, insieme a Brian Grazer, premio Oscar per A Beautiful Mind.

Nel film viene data grande importanza alla filosofia della Ginga, il passo base della capoeira, arte marziale brasiliana, che nel calcio viene intesa come gioia del talento: “La Ginga è una cosa personale che ognuno può avere dentro di sé”, aveva dichiarato Pelè. “È come nella musica. È spettacolo, quello che uno spettatore desidera quando va allo stadio. È molto difficile dire se c’è ancora Ginga nel calcio di oggi, che è più chiuso rispetto al passato. Ci sono tantissimi bravi calciatori, da Cristiano Ronaldo a Neymar. Qualcuno di oggi che gioca con Ginga? Direi Messi. In passato ce n’erano tanti: Cruijff, Charlton, Garrincha”.

O’ Rey ha poi risposto a una domanda sulla finale del Mondiale 1958, vinta contro la Svezia: “Almeno per la prima parte della mia vita è stata la partita più importante. Quando arrivammo in Svezia, cercavamo riscatto dopo la delusione del 1950 e nessuno sapeva chi fossimo. Incontravo i giornalisti che mi chiedevano se venissi dall’Argentina o dall’Uruguay. Dopo quel Mondiale vinto dal Brasile, tutti sapevano chi eravamo e chi ero io. E’ stato un momento molto bello per me e per il mio Paese. Devo dire però che la conquista del Mondiale del 1970 in Messico è stata ancora più importante. Ero un giocatore più esperto e all’ultimo Mondiale, sicuramente più cosciente di quello che stava accadendo”.

Pelè, tornando al film, aveva raccontato le emozioni vissute sul set: “Ci sono scene che mi hanno riportato indietro nel tempo, quando ero ragazzino e vivevo in Brasile. Bisogna essere molto forti per non piangere. L’importanza di questo film sta nel messaggio: i ragazzi di strada possono avere successo, proprio come è accaduto a me. Ho fatto anche un film a Rio che vedeva protagonisti i bambini di strada con problemi di alcol e droga. Dio sa che lo sforzo che faccio tutti i giorni è volto a dare un messaggio positivo alle nuove generazioni”.

Infine riguardo al gol più bello tra i 1281 segnati: “Il primo è quello siglato al San Paolo con la maglia del Santos contro la Juventus, il secondo è il numero 1000, al Maracanà, su calcio di rigore. E’ stata l’unica volta in cui prima di calciare il pallone verso la porta mi tremavano le gambe”.

Al termine una nuova standing ovation ha salutato O Rey che con le sue parole preziose e cariche di umiltà e il suo splendido sorriso ha toccato il cuore di tutti, come ha fatto per tanti anni sui campi da calcio con il pallone, regalandoci una giornata indimenticabile. Proprio come Pelé.

di Francesca Monti

credit foto FM

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