Intervista con Giuseppe Tantillo: “Mare Fuori è una serie che trasmette un messaggio di speranza in una vita diversa”

Giuseppe Tantillo è tra i protagonisti della terza stagione di “Mare Fuori”, in onda su Rai 2 dal 15 febbraio e disponibile su RaiPlay, dove ha riscosso un grandissimo successo, con tanto di record di visualizzazioni.

Attore poliedrico di cinema, tv e teatro, talentuoso autore teatrale premiato a Riccione Teatro e finalista alla Biennale Autori a Venezia, nella serie interpreta Alfredo, che abbiamo conosciuto col nome di Mirko, un giovane avvocato coinvolto in giri malavitosi. Amante della bella vita e del lusso, tra le sue conquiste c’è Silvia, una giovanissima donna di estrazione popolare che conosce in una serata mondana e frequenta per qualche settimana. Durante questo breve periodo la utilizza come corriere inconsapevole della droga e quando viene arrestata, lui sparisce, lasciandola al suo destino, cambiando persino numero di telefono.

Nella nuova stagione lo troviamo indaffarato a gestire clienti ed affari fino a quando in una delle sue visite al carcere non si imbatte ancora una volta in Silvia, che per colpa sua sta scontando una pena ingiusta. A questo punto qualcosa scatta in lui, che per quella giovane ragazza, al netto di tutto, aveva davvero provato qualcosa di speciale. Decide così di aiutarla e tra i due sembra poter nascere di nuovo qualcosa. Ma i loschi affari di Alfredo si incroceranno ancora una volta con le vicende di Silvia e il lieto fine non sarà affatto scontato.

Giuseppe Tantillo è stato recentemente in scena con “The believers”, spettacolo che porterà in tournée l’anno prossimo ed è attualmente impegnato nella scrittura del suo nuovo testo.

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credit foto Andrea Ciccalè

Giuseppe, in “Mare Fuori 3” interpreti Alfredo, un giovane avvocato coinvolto in giri malavitosi. Come si evolverà il tuo personaggio nella nuova stagione?

“Dopo quanto abbiamo visto nella seconda stagione della serie, Alfredo potrebbe essere considerato un cattivo, però da attore cerco di vederne il lato più interessante, cioè mi chiedo cosa significhi cattivo in quanto molto spesso si tratta di una persona buona che per mancanza di coraggio, per difendersi, rovescia la scala dei valori cercando un modo meno doloroso per sopravvivere. Non voglio giustificare le azioni che compie ma interpretandolo cerco di comprenderlo, di non giudicarlo. Alfredo vorrebbe essere proprio come viene visto inizialmente da Silvia ma non è all’altezza di quel sentimento che prova anche lui. Nella terza stagione ci si chiede se riuscirà ad essere come vorrebbe o sarà sconfitto dai suoi fantasmi e dai suoi demoni”.

Hai trovato qualche punto di contatto con il tuo personaggio?

“Nella scorsa stagione fumavano entrambi, poi io ho smesso dieci mesi fa (sorride). A parte questo Alfredo è un personaggio intelligente, che non si ferma all’apparenza delle cose e che ha una certa arte oratoria. In questo mi ritrovo, in quanto sono una persona riflessiva e a cui piace molto parlare”.

Uno dei punti di forza di “Mare Fuori” è che nonostante le vicende drammatiche vissute dai vari protagonisti, c’è sempre un barlume di speranza in un futuro diverso…

“La chiave del successo di questa serie sta nel raccontare l’età della tarda adolescenza in cui si decide che esseri umani saremo, e fotografandola all’interno di un contesto come il carcere minorile amplifica in maniera quasi shakespeariana questo momento, rendendolo ancora più struggente. Il carcere in Italia, a differenza degli Stati Uniti dove ha una funzione punitiva, ha invece uno scopo rieducativo quindi è un posto dove nasce la possibilità di un futuro migliore. Tutti questi elementi fanno sì che la serie trasmetta un messaggio di speranza in una vita diversa”.

In effetti attraverso le storie raccontate portano a riflettere sul fatto che si possano fare degli errori ma che ci sia anche una possibilità di riscatto… 

“E’ un bel messaggio per tutti, non solo per i ragazzi, perchè anche quando cresciamo abbiamo la possibilità di cambiare in meglio noi stessi e i contesti in cui ci troviamo, quindi può essere di ispirazione per diverse generazioni”.

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credit foto Andrea Ciccalè

Hai portato recentemente in scena a teatro “The believers” dell’acclamata autrice Bryony Lavery per la regia di Gianluca Iumiento, uno spettacolo che racconta i rapporti di coppia ma anche le difficoltà e i conflitti dell’incontro con l’altro…

“Abbiamo debuttato qualche mese fa e andremo in tournée l’anno prossimo. E’ un testo di Bryony Lavery, una bravissima drammaturga inglese e vede protagoniste due famiglie, una laica e l’altra molto credente, che hanno delle figlie e si ritrovano insieme a causa di una tempesta. All’improvviso accade una tragedia, la figlia della coppia laica muore e da quel momento inizia la ricerca della verità. Il problema sarà riuscire a dare la colpa a qualcuno o a liberarsi del senso di colpa. In questo spettacolo viene messo in luce anche il tema della disattenzione dei genitori quando perdono di vista i figli per preoccuparsi soltanto di loro stessi. Parte con un tono leggero per poi finire in tragedia. E’ un testo complesso per quanto breve, diretto dal regista Gianluca Iumiento. E’ uno spettacolo bellissimo che ha a che fare con l’inconscio in quanto riemergono i sensi di colpa per quello che non riusciamo a fare, le mancanze che non riusciamo a colmare. Uscendo dalla sala le persone erano contente e affaticate da un punto di vista emotivo, che è la funzione che dovrebbe avere il teatro”.

Come vedi il futuro del teatro?

“Dopo la pandemia sento che il teatro non essendo trasportabile né replicabile sulle piattaforme ha mantenuto il suo pubblico e si è salvato ancora una volta. La gente è contenta di venire in sala, in quanto c’è un contatto diretto e una condivisione di emozioni con gli altri e questo è fondamentale”.

A livello autorale quali sono i tuoi prossimi progetti?

“Sto finendo di scrivere il mio nuovo testo teatrale, non posso ancora parlarne ma è una storia molto intima. Una delle mie peculiarità è mettere al centro le persone e i sentimenti. I miei autori di riferimento sono Cechov e Pinter, che raccontano la gente. Cerco di mettere i personaggi in difficoltà, in una sorta di stress test sentimentale, per tirarne fuori l’essenza, in modo che si possano denudare delle armature che tutti mettiamo per difenderci da quello che succede, giocando tra dramma e commedia, che alla fine per me è il genere più alto. Debutteremo l’anno prossimo”.

Sei stato tra i protagonisti di varie serie di successo, tra cui “L’Ora, inchiostro contro piombo”, incentrata sulla storia del primo quotidiano che ha avuto l’ardire di scrivere la parola mafia, interpretando il ruolo di Vito Monteleone. Che esperienza è stata?

“Vito Monteleone è ispirato a Pio La Torre, poi per motivi di diritti gli autori hanno scelto di cambiare il nome. E’ stata un’esperienza interessante e spero mi capiti spesso di interpretare degli eroi, persone che sono morte per cercare di cambiare le cose per gli altri. Proprio come Pio La Torre, che veniva dalla mia stessa terra, la Sicilia, da un contesto culturale basso perchè il padre era un contadino ma, come diceva Pasolini, in un ambito del genere c’è la verità delle cose al più alto livello di cultura. E’ partito da lì per costruire un percorso che gli ha permesso di dare speranza ai coltivatori siciliani, per poi arrivare a Roma e diventare uno dei più bravi sindacalisti italiani. Credo tanto nella buona politica, nella lotta per migliorare le proprie condizioni e quelle altrui. Da attore è un orgoglio e un immenso piacere poter raccontare queste storie. E’ uno dei motivi per cui ho deciso di fare questo lavoro”.

di Francesca Monti

credit foto Andrea Ciccalè

Grazie a Nicoletta Gemmi

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