Intervista con Stefania Rocca, al Teatro Lirico Giorgio Gaber con “La Madre di Eva”: “La diversità sarà un valore aggiunto quando saremo più disposti all’ascolto”

“Mi ha colpito l’idea di questa madre che cerca di farsi un esame di coscienza riguardo gli errori che ha fatto, che ritorna indietro e rivaluta il suo ruolo”. In quasi trenta anni di carriera Stefania Rocca non ha mai smesso di mettersi in gioco, spaziando tra cinema, televisione e teatro, recitando in varie lingue, dando corpo, voce e anima a donne molto diverse tra loro, risultando sempre credibile e intensa. Ora la poliedrica attrice debutta alla regia teatrale con lo spettacolo “La Madre di Eva”, di cui è anche protagonista, insieme a Bryan Ceotto e Simon Sisti Ajmone, in scena in prima nazionale dal 28 febbraio al 2 marzo al Teatro Lirico ‘Giorgio Gaber’ di Milano.

Lo spettacolo, liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Silvia Ferreri, finalista al premio Strega nel 2018, co-prodotto da ‘Stage Entertainment’, ‘Ora one production’ ed ‘Enfiteatro’, racconta la storia, toccante e contemporanea, di una madre che parla a sua figlia, lei l’ha sempre considerata una femmina, in un corridoio di una clinica di Belgrado, mentre al di là del muro, stanno preparando la sala operatoria e i dottori tracciano linee verdi sul corpo nudo di Alessandro, per permettergli di realizzare, finalmente, il suo desiderio: intraprendere un percorso di transizione, liberandosi da quel corpo femminile in cui si sente prigioniero e raggiungere finalmente la serenità.

In un dialogo surreale senza risposte, sospeso tra l’immaginato e il reale, la madre racconta la loro vita fino a quel momento. Un viaggio costellato di amore e odio, sensi di colpa, paure, desideri e speranze.

Stefania Rocca

Stefania, “La Madre di Eva” è la sua prima regia teatrale, quando è nata l’idea di mettere in scena questo spettacolo che affronta tematiche delicate e attuali?

“Dopo aver letto il romanzo di Silvia Ferreri, “La Madre di Eva”, a cui lo spettacolo è liberamente ispirato, ho pensato di portare in scena per il mio debutto alla regia teatrale un tema attuale come la complessità del rapporto generazionale. E’ la storia di un ragazzo nato in un corpo femminile in cui si sente prigioniero, che vuole intraprendere un percorso di transizione, e di una madre che non vuole vedere quello che sta accadendo al figlio, sia per paura sia perché è frenata dal desiderio di essere un genitore perfetto”.

Cosa l’ha colpita maggiormente di questo romanzo?

“Mi ha colpito l’idea di questa madre che cerca di farsi un esame di coscienza riguardo gli errori che ha fatto, che ritorna indietro e rivaluta il suo ruolo. Nessuna donna nasce madre ed è un sentimento che ho vissuto in prima persona. Ricordo che la prima volta che il medico mi ha messo tra le braccia mio figlio e ha pronunciato la parola “mamma” mi sono messa a piangere e ho pensato “oddio, come si fa adesso?”, provando allo stesso tempo una grande gioia e tanta paura. E poi mi è piaciuto il fatto che si parlasse di identità di genere. Sono stata sempre attenta a tutto quello che è lo specchio della società odierna e avevo trattato il tema dell’inclusione anche all’Otranto Film Fund Festival, di cui ho curato la direzione artistica, e in cui ho incontrato Lukas Dhont, regista dei film “Girl” e “Close””.

E’ uno spettacolo che racconta il conflitto interiore di due personaggi, la madre e Alessandro. Come ha lavorato all’adattamento della storia?

“Ho adattato il testo facendolo diventare un dialogo tra madre e figlio che si scontrano sul campo affettivo, in quello che è un conflitto dal sapore pirandelliano. Tutti quanti oggi combattiamo la nostra battaglia a livello di identità, per essere chi vogliamo, per capire cosa vorremmo essere o apparire come ci vedono gli altri. Spesso indossiamo le maschere che la società ci impone. Il contrasto generazionale è un tema universale che ha attraversato qualsiasi generazione. Essendo due i personaggi avevo l’opportunità di debuttare alla regia teatrale con uno spettacolo abbastanza semplice, ma poi lavorandoci sono riuscita a renderlo complesso, sia perché c’erano tanti spunti, sia perché mi divertiva unire il presente e il passato, mostrando come i ricordi influiscano sull’oggi e viceversa”.

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Stefania Rocca con i due co-protagonisti Bryan Ceotto e Simon Sisti Ajmone

Il ruolo della donna nella società odierna spesso viene incasellato attraverso stereotipi e pregiudizi…

“Esattamente, oggi se non sei madre sei considerata “sfigata”, se hai un figlio non puoi fare altro che accudirlo e crescerlo. Il bello di questo spettacolo è che i protagonisti sono due persone che combattono per una propria identità, senza rendersi conto che la battaglia che fanno è esattamente la stessa, contro qualcosa di più grande di loro che da soli non possono cambiare: il pregiudizio esterno”.

Le è mai capitato di rimanere imprigionata in stereotipi, come donna e come attrice?

“Nel momento in cui diventi mamma sembra che il talento quasi passi in secondo piano. E’ come se la maternità fosse un traguardo ma anche un limite. Io sono una grandissima sportiva e ho paragonato questo spettacolo ad una corsa agli ostacoli, che chiunque di noi fa all’interno della propria vita, con se stesso e con la società. L’accettazione fondamentale parte principalmente da noi e nel momento in cui questo avviene siamo anche in grado di fregarcene del giudizio e pregiudizio altrui. Se viviamo bene con noi stessi, di conseguenza probabilmente gli altri ci accetteranno di più. Quando diventi madre hai fatto un salto dell’ostacolo pazzesco e sei arrivata, ma sembra che hai finito la gara e sia stata l’ultima della tua vita. Ci sono molte pressioni oggi sulle donne e sulle madri in generale, sembra che l’educazione sia dovuta a noi e che se lavori non puoi essere un buon genitore, così nasce una serie di sensi di colpa”.

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Cosa manca ancora nella società odierna per superare i pregiudizi e considerare la diversità non come qualcosa da cui fuggire ma come un valore aggiunto?

“Penso che la diversità sarà un valore aggiunto quando ognuno di noi sarà più disposto all’ascolto, perché capita che ci siano delle prese di posizione solo per cercare di crearsi la propria identità, a volte narcisistica o egoistica, mentre se ascoltassimo sarebbe tutto più facile e ci renderemmo conto che c’è un universo meraviglioso intorno a noi”.

Cosa vorrebbe arrivasse al pubblico che verrà a teatro a vedere “La Madre di Eva”?

“Mi piacerebbe che venisse apprezzato lo spettacolo nel suo insieme ma al contempo che possa far riflettere il pubblico sulla società di oggi e far capire che vale la pena guardare più attentamente ciò che ci circonda, approfondendo alcuni temi”.

di Francesca Monti

Credit ritratto copertina Giovanni Gastel

Si ringraziano Roberto Bisesti e l’ufficio stampa del Teatro Lirico Giorgio Gaber

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