“La memoria è l’elaborazione dei ricordi, dei dati, delle cose che apprendi o che vengono scoperte, è un lavoro emotivo e intellettuale“. Tra le più importanti scrittrici italiane per adulti e per ragazzi, con uno stile elegante e una grande capacità di coinvolgere il lettore, Lia Levi ha da poco pubblicato il libro “Tutto quello che non avevo capito. Una bambina e basta cresce” (HarperCollins), ambientato a Roma, dopo la liberazione dalle truppe americane.
Lia ha tredici anni e, insieme alla sua famiglia, affronta il tentativo di ritornare a una vita normale, ma tutto è da ricostruire: la vecchia casa che non sembra più la stessa, gli esami da recuperare, le lezioni noiose dal rabbino, le amicizie di un tempo che si sfaldano e quelle nuove che nascono nel quartiere, il cuore che batte per qualcuno che non si conosce ancora. In sottofondo, il rumore di un Paese che è irrequieto e affamato quanto la protagonista adolescente che si batte con coraggio e passione per rivendicare gli ideali di democrazia e libertà.
Dopo “Una bambina e basta raccontata agli altri bambini e basta”, Lia Levi torna con una testimonianza autentica e inedita, che riparte dalla ricostruzione dell’Italia dopo la guerra e ci narra le gioie e le fatiche di ridisegnare il proprio futuro e quello di tutti.
Nata a Pisa da una famiglia di origine ebraica, quando vengono promulgate le leggi razziali nel 1938 la scrittrice si è salvata trovando rifugio in un collegio di suore. Da questa esperienza è nato il suo primo libro, “Una bambina e basta”, pubblicato nel 1994.
Lia Levi vanta una vasta produzione letteraria e ha vinto prestigiosi riconoscimenti, tra cui il Premio Strega Giovani nel 2018 per “Questa sera è già domani”.
Signora Levi, nel suo nuovo libro “Tutto quello che non avevo capito. Una bambina e basta cresce” il racconto parte dalla ricostruzione dell’Italia nel Dopoguerra, con Lia che ha 13 anni e insieme alla sua famiglia cerca di tornare alla normalità. Che sensazione ha provato quando ha fatto ritorno nella scuola pubblica?
“Avevo frequentato solo la prima elementare alla scuola pubblica e sono tornata in terza media, nel frattempo ci sono state varie disavventure, il cambio di città, il collegio e ricordo perfettamente quelle sensazioni. Ho detto a mia madre che ero preoccupata perché non sapevo cosa rispondere qualora qualcuno mi avesse chiesto come mai fossi arrivata in quel momento, in quanto non avevo nessun desiderio di cominciare a raccontare la mia storia ed ero sulle spine. Mia madre che ne aveva passate tante mi ha risposto che non sarebbe successo niente. E con mia grande sorpresa davvero nessuno mi ha domandato chi fossi, da dove venissi. Mi sono resa conto che c’era un’assoluta riservatezza e che era istintiva. Ragionando piano piano sono riuscita ad afferrare che nell’immediato Dopoguerra, poiché Roma era stata liberata il 4 giugno 1944, le famiglie avevano avuto un ruolo importante. C’era chi si era messo dalla parte sbagliata, chi aveva perso i propri cari, quindi anche nei ragazzini c’era un silenzio duraturo. Una volta, dopo parecchi mesi, sono andata a studiare a casa di una mia compagna di scuola e lì ho visto la targa con il nome di suo padre che era un partigiano vittima dell’eccidio nazista. E noi non lo sapevamo”.
Quello che traspare dal libro è il ruolo fondamentale svolto in quell’epoca dalla famiglia ma anche il valore dell’amicizia e dell’aiuto reciproco. Penso ad esempio a quando Bruno, che inizialmente scherniva Lia, durante l’esame di terza media le dà una mano con il disegno…
“E’ stata come una richiesta di scuse. Più che per parole, per chiarimenti, si andava avanti a piccoli gesti, chiamiamoli simbolici. Erano segnali di una società che non voleva ancora esprimersi”.
Ha vissuto il passaggio epocale dalla monarchia alla Repubblica, lottando per rivendicare gli ideali di democrazia e libertà. Cosa ne pensa della società odierna dove purtroppo ci sono ancora dei pregiudizi assurdi verso l’altro e sembra che alle volte invece di fare dei passi avanti si vada indietro?
“Forse dovevamo capirlo fin da allora che non c’era stata questa guarigione, in quanto metà del popolo avrebbe voluto restare nel vecchio mondo. La repubblica ha vinto con uno scarto piuttosto piccolo rispetto alla monarchia, dunque nel 1946 non c’è stato un trionfo clamoroso e la gente non ha cambiato mentalità. Quella è stata una delusione politica per me che ero una ragazzina. La spinta positiva di allora era legata alla ricostruzione, avevamo voglia di fare, di andare avanti, di scordare il passato, che poi è stato dimenticato ma per motivi sbagliati. Era il momento di ricostruire, di dare vita alla democrazia, ai partiti politici. Oggi non ci sono più gli alti e i bassi che fanno parte della storia, della società, della vita, stiamo invece regredendo verso il male. Il mio giudizio sulle dinamiche di questo mondo è purtroppo molto amaro”.
La mamma di Lia pronuncia una frase molto importante, dicendole che è “una bambina e basta”. Oggi ci sono ancora molti bambini che dovrebbero essere trattati come tali, invece viene negato loro il diritto all’infanzia a causa delle guerre, dei regimi…
“Certo, negli anni sono aumentate le guerre e anche il numero degli Stati non democratici. Il razzismo, e tutto quello che è negativo, in un regime di democrazia può non realizzarsi del tutto, avere delle ombre. Dove c’è dittatura, dove comandano i tiranni, il male invece è vincente. Quando muoiono dei bambini è una sofferenza immediata, non mediata, ma è incredibile anche solo pensare che ci siano ragazzine che non possono studiare né frequentare la scuola come accade in Afghanistan”.
Quanto è importante oggi fare memoria, non solo in occasione del Giorno della Memoria il 27 gennaio?
“Una volta alcuni ragazzini mi hanno chiesto uno slogan a riguardo e io ho detto questa frase perché ci credo fermamente: “sì al Giorno della Memoria ma anche alla Memoria tutti i giorni”. Non è una celebrazione, un omaggio, è meditare su quanto accaduto. La memoria è l’elaborazione dei ricordi, dei dati, delle cose che apprendi o che vengono scoperte, è un lavoro emotivo e intellettuale che gioca dentro di te nel costruirti”.

Incontrando i giovani nelle scuole che impressione ha avuto di queste nuove generazioni?
“Non voglio fare l’ottimista ad ogni costo perché la realtà va esaminata anche a freddo. Gli incontri con i ragazzi avvengono in quanto c’è una richiesta da parte delle scuole. Noto che c’è un interesse crescente, i giovani non sono fermi, si appassionano, vogliono approfondire questi temi, restano colpiti dalla visita ad Auschwitz e hanno una sensibilità speciale. Certo, esiste anche una parte di società che è indifferente, annoiata, incerta sul proprio modo di pensare ed esistere e questo viene proiettato, attraverso una specie di cinismo superficiale, verso gli altri. Credo però che non si debba smettere di provare ad agire sulle coscienze. Non è realistico partire dalla prospettiva che tutti devono essere sensibilizzati e che possano migliorare né pensare che possa diventare un fenomeno di massa, ma dobbiamo continuare a fare questo lavoro. Anche una persona soltanto che cambia idea e diventa sensibile costituisce un risultato importante”.
La Senatrice a vita Liliana Segre ha affermato recentemente che “la gente è stufa di sentire parlare degli ebrei, tra un po’ sui libri di storia della Shoah ci sarà solo una riga”. Pensa ci possa essere il pericolo dell’oblio?
“Io ammiro tantissimo la senatrice Segre, non ha mai fatto una dichiarazione o un commento che non fosse legato alla saggezza e al buon senso, però non ho capito questa sua affermazione, perché stiamo dicendo l’opposto, non dobbiamo pensare di convertire a tutti i costi quelli che sono troppo fuori da questo cerchio che cerca di lottare per il bene, ma non stiamo andando all’indietro. Pensiamo a Primo Levi che purtroppo non c’è più, era stato un grande testimone e un grandissimo scrittore, ed è quasi più noto ora rispetto al passato. Lo stesso discorso vale per Anna Frank, non l’abbiamo conosciuta da viva ma il suo libro è ancora oggi letto da tantissime persone. Il testimone diretto ha una presa terribilmente forte su chi lo incontra però ci sono tanti eventi accaduti nella storia il cui ricordo permane. La Shoah non è stata solo la strage degli ebrei, ma una ferita per la civiltà, l’essere umano che non era più essere umano. Ha segnato un prima e un dopo nella storia e non può finire nell’oblio. Ne sono convinta”.
Quale ruolo possono avere oggi la letteratura e le arti per far riflettere le persone e scuotere le coscienze?
“Tutto il lavoro creativo, dal cinema alla pittura, dalla letteratura alla musica, ha un’enorme importanza nello svolgere questa funzione perché fa meditare le persone, permette loro di immedesimarsi in una situazione, di individuare qualcosa in cui identificarsi”.
In “Tutto quello che non avevo capito. Una bambina e basta cresce” vengono citati diversi testi, tra cui “Le avventure di Tom Sawyer” e “Les Miserables”. C’è un libro in particolare che è stato per lei fondamentale o che ha segnato il suo percorso da scrittrice?
“Ci sono state due fasi nella mia vita. Se parliamo dell’epoca in cui è ambientato “Tutto quello che non avevo capito. Una bambina e basta cresce” sicuramente “I Miserabili”, che abbiamo letto in classe, mi ha fatto pensare molto. Da adulta invece mi ha formato la letteratura della Shoah. C’è voluto del tempo per sapere cosa fosse accaduto veramente, in quanto si pensava che le persone fossero solamente state portate via tragicamente dalle proprie case. Io ho vissuto quel periodo provando a difendermi da un pericolo astratto, vago e apprendere quello che era davvero successo mi ha molto scosso. Quindi ho cercato di comprare e leggere tutti i libri relativi alla Shoah. E’ stato come risvegliare una tragedia che avevo dentro ma che prima non avevo percepito nelle giuste proporzioni”.
Che emozione è stata ritrovare casualmente il libro “Dal pianto al sorriso” da lei scritto a mano nel 1944, che pensava fosse andato perduto?
“Non pensavo assolutamente che i miei genitori lo avessero conservato perché era un regalo che avevo fatto loro quando avevo 13 anni. E’ stato uno shock e uno stupore enorme ritrovarlo, credevo che lo avessero letto e poi magari gentilmente buttato nel cestino, invece era lì da sempre. Mi ricordavo di avere donato questo scritto ma nella mia mente immaginavo fosse qualcosa ispirato alla mia esperienza, al collegio, magari romanzato, invece era una storia di pura invenzione e mi sono meravigliata di quante cose già allora conoscessi riguardo lo sfondo storico. Non ho mai giudicato “Dal pianto al sorriso” come se fosse la mia opera prima, tanto che non riesco a usare “io”, ma dico lei ha scritto”.
Cosa ha rappresentato per lei vincere il Premio Strega Giovani nel 2018 per “Questa sera è già domani”?
“E’ stato emozionante e mi ha reso molto felice. Riuscire ad entrare nella cinquina finalista di questo prestigioso premio è molto difficile e il fatto che i voti che hanno decretato la vittoria del mio romanzo siano stati espressi dai ragazzi delle scuole è stata una delle più belle soddisfazioni della mia carriera”.
Sta già lavorando a nuovi progetti?
“Ultimamente sono stata impegnata con i libri per ragazzi “Tutto quello che non avevo capito. Una bambina e basta cresce” e “La bambina da oltre il confine” (Piemme), che racconta la storia di Iryna, che ha dieci anni e quando scoppia la guerra in Ucraina trova accoglienza in Italia, presso la famiglia in cui lavora la nonna Kateryna. Ora ho cominciato a scrivere una sorta di seguito, ma potrebbe essere anche un prequel, del mio ultimo libro per adulti “Ognuno accanto alla sua notte”. Sono partita da uno dei personaggi laterali, che fa parte dell’ambiente ebraico, ma con una coté femminista. E’ una donna nata nel 1900 che prova a conquistare la propria indipendenza, finché si trova a fare i conti con le persecuzioni razziali”.
di Francesca Monti
foto copertina ©Giliola CHISTE
Grazie ad Anna Manfredini – HarperCollins