Intervista con Eugenio Sournia: “Con il mio primo disco solista vorrei arrivasse al pubblico la complessità”

Eugenio Sournia, cantautore livornese che ha esordito nel mondo della musica con la band Siberia, ha pubblicato il suo primo progetto solista, un EP dal titolo “Eugenio Sournia”, in uscita il 17 novembre per Carosello Records e prodotto da Emma Nolde.

Autore di grande talento, ha sempre amato scrivere fin da piccolo, e lo ha fatto inizialmente attraverso la poesia per poi passare, crescendo, alla forma canzone.

Una scrittura evocativa, poetica e profonda, che richiama i grandi classici della tradizione italiana e che si ritrova nei sei brani che compongono questo nuovo capitolo del suo percorso discografico nato dall’esigenza di raccontare il rapporto con il dolore che necessita, secondo l’artista, di recuperare una sua centralità nella musica e nell’arte.  

Le canzoni sono particolarmente influenzate dal rapporto con i problemi di salute mentale e dall’esperienza religiosa, ma non mancano escursioni verso temi amorosi o maggiormente orientati alla critica sociale.  

Eugenio, è uscito il tuo primo disco da solista, prodotto da Emma Nolde. Ci racconti come è nato questo progetto?

“La decisione di coinvolgere Emma è nata in seguito al fatto che avevo queste canzoni nel cassetto da un po’ di tempo. In un primo momento avevo dato io una veste ai brani e realizzato un piccolo disco ma mi sono reso conto, insieme alla mia etichetta, che potevo fare un salto in avanti perchè mi sento soprattutto un autore. Emma ha un’attenzione e una cura per l’aspetto prettamente musicale del suono che è diversa dalla mia e in qualche modo mi piaceva andare a mischiare le carte. Trovo che la mia scrittura sia abbastanza classica, questo è un pregio e un difetto, e mi interessava dunque provare a dare qualcosa di differente a questi brani”.

Nel disco affronti varie tematiche, dal rapporto con la salute mentale all’amore, dall’esperienza religiosa alla critica sociale…

“Sono tematiche che sento particolarmente. Il primo pezzo che ho scritto è stato Il dolore è una porta, in uno dei primi giorni di lockdown, mentre ero in casa con i miei genitori. Quel periodo è stato uno shock per tutta la mia generazione, uno dei primi veri momenti di dolore ed emergenza collettiva che l’umanità affrontava dall’11 settembre 2001. Mi è venuto spontaneo allora sia guardarmi dentro come non avevo mai fatto prima, sia guardare fuori perchè comunque la pandemia e poi la guerra in Ucraina mi hanno aperto gli occhi sul fatto che vivevo in una società e dovevo farci i conti anche nella scrittura. A livello personale uno dei motivi che mi hanno portato a lasciare la band è stato voler parlare ancora più in profondità delle mie idee, senza mettere in bocca agli altri tre componenti le cose che non pensavano. Se fai parte di un gruppo devi cantare qualcosa in cui tutti si possano riconoscere altrimenti tradisci il patto sociale, e io non volevo obbligarli a parlare di ciò che non condividevano. Questo mi ha portato a intraprendere il percorso da solista”.

credit foto Alessandro Treves

Nel brano “Dignità” parli di quanto spesso il dolore e i fatti di cronaca che accadono vengano spettacolarizzati dai media…

“Credo che il dolore possa essere anche un momento di grande coesione per le persone e che il modo in cui i media hanno affrontato determinati argomenti sia stato polarizzante per tifoserie. Io ho il pregio e il difetto della complessità per cui sentivo il bisogno di dire la mia, e spesso complessità fa rima con dignità, perchè penso che restituire alle vicende la loro scala di grigi contribuisca a ridare dignità all’opinione e alla vita di tutti. Io provengo da un contesto famigliare molto polarizzato, la mia famiglia materna è religiosa, quella paterna, che è anche francese, è formata da persone progressiste e tendenzialmente atee, agnostiche, quindi ho sempre visto due mondi l’uno contro l’altro armati e mi è piaciuto essere il trait d’union. Spesso faccio l’avvocato del diavolo perchè mi piace provocare ma anche far vedere all’uno il punto di vista dell’altro, c’è egocentrismo e al contempo il desiderio di stare tutti insieme”.

L’album si conclude con “Il cielo”, che è un po’ la chiusura del cerchio, la risposta alle domande presenti nelle altre tracce, un brano in cui sottolinei quanto sia importante l’accettazione della possibilità del dolore e allontanarsi dall’egocentrismo per raggiungere una sorta di felicità, anche con se stessi…

“E’ nato in cinque minuti come spesso accade con le canzoni più sincere e riuscite. Lo giudicavo un divertissement, perché fondamentalmente nasce da un bisogno di redenzione. Quando l’ho scritto avevo compiuto cose che non mi piacevano e in qualche modo volevo essere salvato, in maniera sia cristiana che universale. L’interlocutore è indeterminato, è una persona fisica, una divinità, la vita, se stessi, ed è giusto che resti tale”.

Presenterai questo disco con dei live?

“Stiamo lavorando per portare questo disco nei club a gennaio, nel frattempo faremo degli showcase in acustico, io e il mio violinista”.

Cosa vorresti arrivasse al pubblico di te, attraverso questo disco, che magari non era emerso quando eri nei Siberia?

“Mi piacerebbe arrivasse al pubblico la complessità. Sono canzoni non pensate per le radio o le playlist e questo è anche un limite perchè se riuscissi ad inserire questi elementi nella scrittura raggiungerei molte più persone e sto anche cercando di farlo. Penso però che suonando live le emozioni arrivino anche per osmosi. Ho assistito ad esempio alla presentazione del documentario di Pete Doherty a Firenze e mi ha colpito la sua presenza, l’alone di emozione che si porta dietro anche solo parlando. Quando è entrato in questa stanza ho visto una persona divertente, simpatica, curiosa, che fa leggere la musica in maniera diversa da come viene presentata dalla stampa. Attraverso i concerti si ha la possibilità di trasmettere quei sentimenti con cui ho scritto le canzoni e penso che sia il modo migliore per ascoltare la musica”.

di Francesca Monti

credit foto Alessandro Treves

Si ringrazia Maryon Pessina

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