Serata speciale, giovedì 6 settembre. Al Conservatorio di Milano: in Sala Verdi, ore 21, per MITO arriva la leggenda del pianoforte Martha Argerich

Serata speciale, giovedì 6 settembre. Al Conservatorio di Milano: in Sala Verdi, ore 21, per MITO arriva la leggenda del pianoforte Martha Argerich. E non arriva da sola. Con lei, dopo la trionfante tournée insieme nel 2016, che li ha portati lungo la traiettoria dei maggiori festival internazionali, ci sarà anche la vivacissima Neojiba Orchestra, l’Orchestra Giovanile di Stato di Bahia, l’orchestra brasiliana che si ispira al modello venezuelano de El sistema. Il programma del concerto prende le mosse da Schumann, e sarà poi scandito dai ritmi caraibici di alcuni dei maggiori esponenti del gotha musicale sudamericano, dal Messico di Arturo Márquez – con il brano Sonhos Percutidos in prima esecuzione italiana a MITO SettembreMusica – al Brasile di Wellington Gomes, passando per la Cuba immaginata da Gershwin e con un omaggio a Bernstein nel centesimo anniversario della nascita, con l’ouverture dal suo capolavoro carico di “latin beat”, West Side Story.

Il concerto è presentato da Intesa Sanpaolo, partner di MITO SettembreMusica fin dalla sua prima edizione.

Protagonista ad apertura di concerto sarà proprio la pianista porteña, nel Concerto in la minore per pianoforte e orchestra op. 54 di Robert Schumann (1810-1856). Composta nel 1845, resterà l’unica realizzazione di una forma sulla quale il compositore rifletteva da anni, insoddisfatto delle incarnazioni allora più in voga, veicoli per lo sfoggio delle doti virtuosistiche dei pianisti, con l’orchestra relegata al ruolo di accompagnamento. Schumann mirava invece a «qualcosa a metà tra sinfonia, concerto e grande sonata», come scriveva nel ’39 a Clara. La potenza espressiva della composizione sta forse proprio in questo intrico di intenzioni. Una strappata dell’orchestra, una cascata di accordi del pianoforte, quindi un solo tema, melodia delicata e dolente che solista e orchestra variano con sottile ricchezza di invenzione, trasformandola a più riprese, con sempre nuovi colori. Il secondo movimento, Intermezzo, è un’isola di tranquillità, aperta da un tema aggraziato, che trasporta in un’imprevista sfera di innocenza, distante dalla veemenza del primo movimento e dalla velocità dell’ultimo, Allegro vivace, un’effervescenza di invenzione, con una nuova idea dietro l’altra a contornare un tema principale di vorticosa energia danzante.

La seconda parte del programma vede i ragazzi dell’Orchestra librarsi sui ritmi travolgenti dell’Ouverture da West Side Story di Leonard Bernstein (1918-1990), partitura che esplode di energia ritmica e danzante. L’Ouverture apre il musical con il classico formato pot-pourri, in cui si avvicendano temi, ritmi e colori che verranno poi, anticipando e sintetizzando la vicenda.

Quindi una prima esecuzione in Italia, Sonhos Percutidos di Wellington Gomes (1960), cinquantottenne bahiano, violista, compositore, direttore d’orchestra e didatta. Il brano (2006) ha come principale fonte di ispirazione la musica afro-brasiliana nonché il suono caratteristico dei gruppi di percussioni tradizionali dello stato di Bahia. Immerso e rimescolato a un sinfonismo abile e libero, esso connota un cocktail inventivo e divertente, quasi la colonna sonora di un film immaginario e, carico di dirompente energia ritmica, induce a partecipare al tripudio delle percussioni.

Nel finale Cuban Overture di George Gershwin (1898-1937), frutto del periodo trascorso dal compositore sull’isola, nel febbraio del 1932. Una mattina, Gershwin fu invitato a seguire dallo studio radiofonico l’esibizione di Ignacio Piñeiro, uno dei più talentuosi “rumberi” di Cuba, col suo Sestetto che mescolava percussioni, voci e strumenti a corda. Nasce lì l’Ouverture da concerto, composta velocemente in quella stessa estate. Rumba (solo più tardi l’autore la ribattezzerà Cuban Overture), debuttò a New York nell’agosto del 1932, con bonghi, claves, güiro e maracas che Gershwin aveva riportato con sé dall’isola. Lungi dall’essere mero esotismo, questo brano si inserisce nella ricerca da parte di Gershwin di un radicamento nella tradizione sinfonica entro la quale innestare nuovi semi che qui, nel corso delle tre sezioni in cui l’Ouverture si articola, germogliano nella complessa stratificazione di temi e ritmi.

Chiude Danzón n. 2 di Arturo Márquez (1950). Il compositore messicano mutua sempre da Cuba quello che fu il genere di ballo cubano per antonomasia per circa un secolo dalla metà dell’Ottocento: il danzón, una sorta di cugino del tango, con cui condivide il carattere nostalgico e la sensualità. Negli Stati Uniti diventa brano da concerto grazie ad Aaron Copland (1942), e si insedia in Messico, dove si fa più brillante in ensemble più ricchi di ottoni. Márquez, un po’ come Heitor Villa-Lobos col choro brasiliano, ha fatto del danzón una vera e propria forma da concerto, scrivendone diversi per diversi organici, fra cui questo n. 2 per orchestra sinfonica, nato su commissione dell’Università di Città del Messico; accolto con entusiasmo al suo debutto, nel 1994, da allora è spesso presente in concerto, per finire persino in una serie televisiva, Mozart in the Jungle.

Il concerto è preceduto da una breve introduzione di Gaia Varon
Il testo si avvale del contributo musicologico di Gaia Varon.

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