E’ una delle icone più ammalianti della scena pop-rock italiana: dopo venti anni come voce, musicista e corista dei Baustelle e l’ep “Marie” del 2015, Rachele Bastreghi pubblica il suo primo e vero album d’esordio da solista dal titolo “Psychodonna”, in uscita il 30 aprile per Warner Music.
Un diario personale, privato, portato alla luce del sole dopo un lavoro casalingo di due anni originato da lunghe notti di veglia, introspezione e scrittura, composto da nove tracce, di cui otto interamente scritte dall’autrice, che fuggono dalla comfort zone e dalla necessità di smettere di proteggersi per mettersi in gioco e far uscire la voce in prima persona.
La cantautrice ha curato “Psychodonna” nei dettagli fino a firmarne la coproduzione insieme a Mario Conte. Un “ballo nel fango”, un “dramma in discoteca”, come lo definisce lei stessa, a cui hanno partecipato musicisti e ospiti d’eccezionale talento: dai musicisti che la accompagnano di traccia in traccia, come Lorenzo Urciullo “Colapesce”, Fabio Rondanini, Marco Carusino e Roberto Dellera, fino alle presenze d’eccezione tutte al femminile quali Meg, Silvia Calderoni e Chiara Mastroianni, per arrivare a quella della poetessa Anne Sexton e al pensiero fantasma rivolto a Sylvia Plath, Alda Merini e Antonia Pozzi.
Qui la nostra video intervista con Rachele Bastreghi:
Rachele, nel disco “Psychodonna” sono presenti i feat. con Chiara Mastroianni, Meg, Silvia Calderoni. Ci racconti come si sono sviluppate queste collaborazioni?
“E’ un disco che parla di me ed esplora la mia anima femminile e ho avuto la possibilità di pensare alle persone che mi piaceva avere vicino per raccontare alcuni aspetti di me. Le collaborazioni a volte nascono nel momento in cui scrivo la musica. “Due ragazze a Roma” ha due feat diversi che in qualche modo rappresentano una mia sfumatura. Ho chiamato Chiara Mastroianni per esprimere la parte elegante, francese. Avevo avuto modo di conoscerla di persona e avevo visto i suoi film ed ho avuto una risposta molto bella e simpatica da parte sua.
Con Meg siamo amiche e da tempo volevamo fare qualcosa insieme ma non c’eravamo ancora riuscite. Quando ho scritto quella parte del testo ho visto che richiamava una voce rappata e ho pensato: chi meglio di lei?”.
Silvia Calderoni rappresenta invece la mia parte più feroce, fisica, io vivo la musica anche molto fisicamente, quando sono sul palco muovo tutto, dal dito del piede a quello della mano, e mi piace ballare”.
Questo disco è arte a 360° perché c’è la musica, ma anche il cinema e la poesia. In particolare tra le tracce abbiamo “Come Harry Stanton” che rimanda al famoso attore caratterista e la voce della poetessa Anne Sexton in apertura dell’ultimo brano, “Resistenze”. Cosa ti lega a questi due grandi artisti?
“Quando hai un’idea e torna la metrica è fantastico. Mentre scrivevo i testi dei brani avevo visto l’ultimo film di Harry Stanton, “Lucky”, che racconta il viaggio spirituale di questo uomo un po’ burbero che cammina nel deserto, riflessivo, che è attaccato alle sue abitudini, che storce la bocca alle regole e mi sono rivista un po’. Quando entrano in gioco film e altre visioni provi a metterle insieme e ti arricchiscono e danno la possibilità di raccontare anche le tue esperienze personali.
Anne Sexton invece è un esempio di donna coraggiosa che ha trovato la sua idea di lotta, che ha parlato anche di argomenti importanti, ha affrontato tabù. In base alla mentalità di quei tempi più le donne stavano a casa e non parlavano e meglio era. E’ una personalità gigante, come Virginia Woolf, che ha avuto il coraggio di esprimere il proprio pensiero, di seguire il proprio essere, senza avere paura”.
“Penelope” si chiude con la frase “La mia diversità è il mio punto di forza”, un messaggio prezioso in una società sempre più votata all’omologazione e in cui ciò che è “diverso” spesso viene addirittura considerato con accezione negativa…
“Penelope nasce da un soprannome che il mio collaboratore Luca Bernini mi ha dato perché rimandavo la consegna del pezzo e siamo arrivati alla diciassettesima versione (ride). Per cui mi ha detto “ti voglio chiamare Penelope” e da lì è nato il testo. E’ l’emblema della donna fedele, astuta, romantica e anche punk, perché ha rifiutato le proposte dei Proci, ha creduto fortemente in un sogno, il ritorno di Ulisse, senza sapere se sarebbe effettivamente tornato, si è fatta il suo viaggio mentale, ha ideato uno stratagemma per non piegarsi al volere altrui e ha seguito una sua via. Per questo rientra in quelle donne coraggiose che sono fragili ma combattive e che si danno da fare in qualche modo per sé”.
Prima parlavamo di cinema, le tue canzoni sono molto evocative, ti piacerebbe scrivere un brano o una colonna sonora per un film o una serie tv?
“Certamente. Devo dare anche alle fiction il merito del mio primo Ep, “Marie”, infatti nel 2014 ho preso parte a “Questo nostro amore 70″ su Rai 1 nel ruolo proprio di Marie, una cantante francese, interpretando un mio brano originale intitolato “Mon petit ami du passè”. Musica e film creano un gioco di sottolineature, in cui dove c’è il silenzio arrivano le note che a volte sono molto più evocative. Sono felice di aver concretizzato questo disco perché pensavo di rimanere sulla musica strumentale, invece è arrivato anche il coraggio e anche la voglia di sperimentare”.
di Francesca Monti
credit foto Elisabetta Claudio