Francesco Patanè, giovane talento del cinema italiano, esordisce sul grande schermo come co-protagonista accanto a Sergio Castellitto ne “Il cattivo poeta”, diretto da Gianluca Jodice, biopic incentrato su Gabriele D’Annunzio.
Prodotto da Matteo Rovere e Andrea Paris, produzione Ascent Film e Bathysphere con Rai Cinema, il film sarà in sala dal 20 maggio con 01 Distribution e racconta gli ultimi anni di vita del poeta-vate (Castellitto), delineando il ritratto di uno dei personaggi più rilevanti della letteratura italiana e della storia del nostro Paese.
1936. Giovanni Comini (Francesco Patanè) è stato appena promosso federale, il più giovane che l’Italia possa vantare. Ha voluto così il suo mentore, Achille Starace, segretario del Partito Fascista e numero due del regime. Comini viene subito convocato a Roma per una missione delicata: dovrà sorvegliare Gabriele d’Annunzio e metterlo nella condizione di non nuocere… Già, perché il Vate, il poeta nazionale, negli ultimi tempi appare contrariato, e Mussolini teme possa danneggiare la sua imminente alleanza con la Germania di Hitler. Ma al Vittoriale, il disegno politico di cui Comini è solo un piccolo esecutore inizierà a perdere i suoi solidi contorni e il giovane federale, diviso tra la fedeltà al Partito e la fascinazione per il poeta, finirà per mettere in serio pericolo la sua lanciata carriera.
Nato a Genova nel 1996, di origini siciliane, Francesco Patanè inizia a recitare sin da bambino presso la scuola di recitazione per ragazzi “La Quinta Praticabile”. Frequenta, poi, la Scuola del Teatro Stabile di Genova dove, a 21 anni, ottiene il diploma di attore. Quindi partecipa a diverse produzioni teatrali tra Genova e Roma tra cui Antigone con Massimo Venturiello al Teatro Antico di Taormina e Eracle al teatro Na Strastnom di Mosca. Prende parte anche al film tv “Aldo Moro. Il Professore” di Francesco Miccichè.
Nel luglio 2021 sarà protagonista dello spettacolo “Gradiva” di Wilhelm Jensen, una produzione Lunaria Teatro per la regia di Daniela Ardini, un delizioso racconto delle vicende amorose di Norbert e Zoe-Gradiva, famoso perché divenne soggetto della prima analisi di Freud applicata a materiali letterari.
Il protagonista è un giovane archeologo tedesco, Norbert Hanold (Patanè), ossessionato dalla figura di una fanciulla ritratta in un bassorilievo trovato in un Museo a Roma ritratta mentre fa un passo, alzando in modo innaturale il piede. L’immagine lo colpisce talmente da farne, pare, un calco, posizionarlo nel suo studio e chiamare la giovane donna Gradiva, colei che avanza. Ritiene che provenga dagli scavi di Pompei, luogo dove il suo stato, che progressivamente va verso il delirio, ossessionato da sogni e fantasie che gli confondono la percezione del reale, lo dirige inconsapevolmente. Qui incontra una fanciulla che gli pare l’incarnazione della giovane donna ritratta nel bassorilievo.
Abbiamo realizzato una video intervista con Francesco Patanè parlando del film “Il cattivo poeta” ma anche dei prossimi progetti.
Francesco, nel film “Il Cattivo Poeta” interpreti Giovanni Comini. Come hai lavorato alla costruzione di questo personaggio che è realmente esistito?
“Ho iniziato cercando su internet delle informazioni sulla vita di Comini ma ho trovato poco se non quello che è raccontato nel film “Il Cattivo poeta”, allora ho deciso di fare un altro tipo di lavoro e mi sono concentrato sul periodo storico, su cosa potesse vedere e pensare un ragazzo nato nel 1910 con quelle convinzioni politiche, ho guardato tanti documentari sull’Italia fascista di quel periodo, ho ascoltato tanta musica, ho cercato di portare a me quello che era il mondo, il respiro di quel tempo. E poi ho seguito il percorso del personaggio raccontato dalla sceneggiatura”.
Questo film rappresenta il tuo debutto sul grande schermo. Che emozioni hai provato il primo giorno sul set?
“L’emozione più grande è stata quando hanno chiamato per comunicarmi che avevo ottenuto il ruolo. E’ stata un’esplosione di gioia, mi trovavo in camera mia a Roma ed ero in lacrime. Sul set invece sono arrivato più freddo sapendo che mi aspettava un lungo percorso, quaranta giorni di riprese consecutive, un arco narrativo importante con un personaggio che si evolve e cambia nel film, quindi ho cercato di essere più lucido possibile per potermi far invadere dal personaggio e non dall’attore Francesco con la sua emozione. Poi quando sono terminate le riprese ho riprovato quell’esplosione di gioia iniziale”.
Hai lavorato al fianco di un maestro quale Sergio Castellitto. Ti ha dato qualche consiglio per il tuo percorso artistico?
“E’ stato un privilegio enorme lavorare a fianco di un mostro sacro come Sergio Castellitto, è stato arricchente sia dal punto di vista lavorativo che umano, sono quelle esperienze che non capitano spesso. Mi ha dato la possibilità di giocare e recitare con lui, essendo un professionista così competente e abile basta osservarlo per poter “rubare” molte cose e io sono un “ladro” in questo, nel senso che cerco di prendere tutto quello che posso. Sergio è stato per me un libro da cui leggere ininterrottamente avendo tante scene insieme ed essendo la mia prima vera esperienza cinematografica mi ha insegnato come si gestisce il rapporto con la macchina da presa”.
Cosa puoi raccontarci riguardo il tuo personaggio?
“Giovanni è il più giovane gerarca fascista di quel periodo, ha un ruolo di enorme responsabilità e gli viene affidato un incarico particolarmente scomodo, ovvero spiare il grande poeta vate Gabriele D’Annunzio. Quindi è all’inizio di una carriera promettente nelle braccia di un regime di cui condivide gli ideali, crede nelle promesse di un’Italia migliore che i suoi superiori gli fanno, aderisce con la passione ingenua che ha un giovane e poi si ritrova invischiato in una situazione più grande di lui sia dal punto di vista politico che morale. La figura di D’Annunzio così vicina a lui e stimolante lo porta ad aprire gli occhi, a fare un percorso interiore, ad una presa di coscienza che probabilmente non avrebbe avuto se non lo avesse incontrato”.
credit foto Paolo Ciriello
Giovanni Comini rimane affascinato dalle parole di D’Annunzio tanto che mette in discussione se stesso e le idee del partito. C’è una poesia o un’opera di questo grande poeta che ti ha più colpito?
“La cosa curiosa è che quando ho fatto il provino per entrare alla Scuola dello Stabile di Genova dovevo portare un monologo o un dialogo e una poesia a scelta e io ne ho portata una di D’Annunzio dal titolo “Canta la gioia”, un inno d’amore per la vita. Mi ricordo che quando la lessi avevo proprio la voglia di alzarmi e recitarla perché sentivo qualcosa dentro e volevo restituirlo agli altri, come mi è successo quando ho letto la sceneggiatura de Il Cattivo poeta e volevo raccontare questa storia e questo personaggio”.
In un’epoca in cui purtroppo accadono ancora episodi di razzismo, discriminazione verso chi viene considerato “diverso” e altre brutture, pensi che l’arte e in questo caso il cinema possano essere di aiuto per far riflettere le persone affinché non si ripetano gli stessi errori del passato?
“L’arte ha un valore importante in questo scenario, perché la sua prima funzione è quella di raccontare storie e questo presuppone un certo tipo di ascolto sia in chi le racconta che in chi le fruisce. Quando c’è una persona o un gruppo che con qualsiasi strumento ti fa conoscere una vicenda di altri esseri umani e tu la ascolti impari l’empatia che spesso rischiamo di perdere. Il razzismo e le brutture nascono dal fatto di non voler vedere per paura, per ignoranza, mettendo un muro tra la storia che hai davanti e te”.
Com’è nata la tua passione per la recitazione?
“Ho iniziato a sei anni per gioco e così è stato fino ai 16 anni. Guardavo tantissimi cartoni animati e film e giocavo a imitare quello che vedevo e a ricercare quelle atmosfere. Poi con mia mamma ho scoperto che esisteva una scuola per bambini che insegnava a recitare e da lì questa passione è cresciuta ed è diventata un lavoro”.
In quali progetti sarai prossimamente impegnato?
“E’ un periodo in cui tutto è in forse e sto aspettando risposte da alcuni provini. Posso però svelare che a Genova farò uno spettacolo teatrale che si chiama “Gradiva” di Jensen. Interpreto un personaggio molto strano, è un testo che parla di un esperimento freudiano con questo giovane che è ossessionato da un bassorilievo raffigurante una ragazza nell’atto di camminare e la cerca nella gente che passa per strada. La cosa divertente per me è giocare con queste parole difficili da rendere naturali nel 2021 e immedesimarmi in quel tipo di follia”.
Un sogno nel cassetto…
“Il mio sogno è riuscire a fare questo mestiere nel miglior modo possibile, creare una serie di puntini da unire sperando che siano progetti di cui possa andare fiero come mi è successo con Il cattivo poeta”.
di Francesca Monti