Recensione del film “Il Divin Codino”

Alzi la mano chi negli anni Novanta non ha sognato guardando le magie di Roberto Baggio, i suoi gol, le sue giocate sopraffine. Io ero tra quei sognatori e mi sono avvicinata allo sport più bello del mondo proprio grazie al mitico numero 10, simbolo di un calcio autentico, emozionante, passionale, elegante che non c’è più, fatto di semplicità, di marcature a zona, di partite da vedere allo stadio o da seguire in trepidazione alla radio.

Ne “Il Divin Codino”, il film su Roberto Baggio, disponibile in streaming su Netflix dal 26 maggio, diretto da Letizia Lamartire e sceneggiato da Ludovica Rampoldi e Stefano Sardo, si ritrovano proprio questi valori e queste sensazioni, grazie all’ottima interpretazione di Andrea Arcangeli, perfettamente a fuoco nei panni del grande campione, e di Valentina Bellè, Andrea Pennacchi, Anna Ferruzzo, Thomas Trabacchi, Antonio Zavatteri, centrati nei loro ruoli.

La pellicola infatti celebra l’uomo oltre il mito, seguendo la carriera calcistica di Roberto Baggio ma svelandone anche il suo lato umano. Partendo dagli esordi nelle fila del Lanerossi Vicenza e passando dal controverso calcio di rigore della Finale di Coppa del Mondo 1994 tra Italia-Brasile, il film ripercorre la vita di Baggio, dal suo difficile debutto come professionista fino all’addio ai campi. Una carriera lunga 22 anni che, attraverso gli infortuni, il rapporto di amore-odio con i suoi tifosi, le incomprensioni con alcuni dei suoi allenatori e il legame con la sua famiglia, racconta i grandi successi sul campo di un calciatore fenomenale.

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Un film che fa riflettere su diversi temi: innanzitutto la fallibilità dell’uomo e del campione che ha sbagliato un rigore nella finale dei Mondiali di USA ’94 che l’Italia ha disputato contro il Brasile e che per questo è rimasto ancora di più nel cuore dei tifosi perché quell’errore lo ha in qualche modo reso più umano e vicino a tutti noi. C’è poi la resilienza, la voglia di lottare e non arrendersi nonostante gli infortuni per inseguire il suo sogno e mantenere la promessa fatta a 3 anni al padre Florindo di portare l’Italia sul tetto del mondo, ma anche l’importanza della famiglia che ha sempre supportato Baggio nei momenti belli e in quelli difficili nonché il sostegno dei tifosi e l’emblema è la scena finale del film che emoziona fino alle lacrime.

Infine l’umiltà e l’onestà, quelle che non si devono mai perdere neanche quando si diventa famosi e Roberto con il suo essere schivo e il suo sentirsi quasi in colpa per essere pagato dalla Fiorentina nonostante non giocasse per infortunio tanto da non incassare lo stipendio ne è l’esempio. Gesti tanto nobili che sembrano appartenere a un mondo diverso da quello odierno dove i soldi, la visibilità e la popolarità sembrano essere le uniche cose che contano, non solo nel calcio.

Un film che vi consigliamo assolutamente di vedere.

di Francesca Monti

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