Intervista con Francesco Del Grosso, regista del documentario “In prima linea”: “Abbiamo trovato dei lampi di poesia nell’orrore della guerra”

“In prima linea” di Matteo Balsamo e Francesco Del Grosso, nelle sale italiane dal 10 giugno distribuito da Trent Film, arriva all’Anteo Palazzo del Cinema di Milano lunedì 21 giugno alle 21,30 in sala Astra.

Premiato come miglior documentario all’edizione 2021 di International Filmmaker Festival of New York, “In prima linea” racconta la front line attraverso l’obiettivo di tredici fotoreporter (Isabella Balena, Giorgio Bianchi, Ugo Lucio Borga, Francesco Cito, Pietro Masturzo, Gabriele Micalizzi, Arianna Pagani, Franco Pagetti, Sergio Ramazzotti, Andreja Restek, Massimo Sciacca, Livio Senigalliesi, Francesca Volpi), che con i loro scatti hanno mostrato l’inferno, gli orrori, le sofferenze e le cicatrici indelebili della guerra. Le voci, le fotografie e i ricordi di uomini e donne diventano le tappe di un viaggio fisico ed emozionale tra passato e presente. Perché la prima linea non è solo dove si spara e cadono le bombe, ma ovunque si “combatte” quotidianamente per la sopravvivenza.

Per prenotare il vostro posto all’Anteo di Milano per la proiezione di “In prima linea”: https://anteo.spaziocinema.18tickets.it/film/10451

Francesco, ci racconti com’è nata l’idea di “In prima linea”?

“Nasce da un incontro con Matteo Balsamo che è il co-regista e con la sua casa di produzione, la Giotto Production a cui poi si è unita la Merry-Go-Sound di Paolo Fosso che ha realizzato anche le musiche del documentario. Avevamo vagliato una serie di progetti e come accade in maniera sempre più rara ci siamo trovati d’accordo sul tipo di film e quattro settimane dopo abbiamo battuto il primo ciak di “In prima linea”. Abbiamo messo insieme 13 fotoreporter completamente differenti per anagrafica, provenienza, stile e sesso, e ci siamo resi conto che potevamo raccontare in maniera più o meno esaustiva le varie tipologie di approccio alla fotografia di guerra. Il docufilm racconta anche la resistenza, la resilienza, le cicatrici che questo lavoro ti lascia anche quando torni dalle zone di guerra. Da lì è nato un racconto corale che può essere fruito come se fosse una mostra, quindi ascoltando i vari punti di vista e guardando i diversi stili. L’unica cosa che hanno in comune questi fotoreporter è l’essere stati in zone di guerra”.

Un film documentario che parte dalle esperienze dei singoli fotoreporter per approfondire anche il lato più intimo e umano di chi fa questo mestiere…

“C’è un immaginario stereotipato e distorto che ci viene dal cinema e dalla tv in quanto tutti si sono chiesti come i fotoreporter svolgano questo lavoro ma senza mai preoccuparsi delle loro emozioni. “In prima linea” racconta invece anche una dimensione intima. Noi abbiamo messo i 13 protagonisti davanti alle loro foto, li abbiamo fatti dialogare ponendo loro domande su cosa fa l’uomo o la donna che sta dietro la macchina fotografica, che a volte si trova ad affrontare delle situazioni in cui l’etica, la morale ma anche la propria soggettività entrano in ballo, ad esempio quando la fotografia passa dal suo scopo documentaristico e storico alla cronaca violenta della morte e alla violazione dei diritti umani. In questo percorso di racconto corale c’è il tentativo di abbattere alcuni stereotipi come il fatto che le donne non possano fare questo mestiere quando la maggior parte di loro hanno avuto invece accesso a zone che agli uomini non erano consentite, ad esempio il Medioriente e poi vengono viste come persone che affrontano questo mestiere soprattutto per il desiderio di andare incontro all’adrenalina, alla paura, quando invece ognuno di loro ha anche un’esigenza personale, non solo quella del documentare, ma anche di mettere la propria esperienza al servizio della comunità”.

POSTER_In prima linea

In quanto tempo avete realizzato “In prima linea”?

“Abbiamo realizzato quasi tutte le riprese prima del primo lockdown, abbiamo finito il 3 marzo 2020. Gran parte del film è stato poi montato in modalità smartworking perché il montatore Roberto Mariotti era a Roma, io abito a Milano, eravamo sparsi per l’Italia ma siamo riusciti a terminare il lavoro. Poi abbiamo portato il film in anteprima mondiale a Matera e successivamente ha girato vari festival italiani e internazionali, tanto che ha vinto anche un premio a New York”.

E poi è arrivato nei cinema che finalmente hanno riaperto…

“L’uscita nazionale in sala è avvenuta il 10 giugno, siamo stati nei cinema di Roma, Bologna, Milano, Padova, Torino, ed è una grande soddisfazione. Grazie alla Trent film “In prima linea” arriverà nelle arene estive e sarà nei cinema anche in autunno, quindi andremo sulle piattaforme o in dvd. Sarebbe poi bello vederlo approdare in tv ma soprattutto nelle scuole perché racconta 50 anni di storia della fotografia e dei conflitti, dall’invasione dell’Afghanistan alla fine degli anni sessanta fino ai giorni nostri. Per essere un film indipendente ha fatto parecchia strada”.

In prima linea (5)

Tra le storie raccontate o le fotografie presenti nel film documentario ce n’è una in particolare che ti ha colpito maggiormente?

“Sono storie diverse e tutte calzanti, che hanno travolto sia me che Matteo Balsamo perché ci siamo messi dalla parte dello spettatore in quanto volevamo conoscere i fotoreporter nel momento in cui giravamo il film. Non c’erano domande preparate, non c’era nulla di preimpostato, è stato un flusso emotivo e loro non pensavano nemmeno che il film andasse ad esplorare la parte umana. Ci sono una serie di foto che ci hanno toccato dentro, penso al bambino con il kalashnikov e il lecca lecca in mano di Francesco Cito o alla bambina con lo spruzzino in ospedale che lava il sangue nella foto di Andreja Restek, oppure a quella di Livio Senigalliesi con una persona che con un secchio d’acqua prova a spegnere un incendio nella finestra accanto o ancora una bambina dentro un pullman che alza le mani in segno di resa perché aveva scambiato la macchina fotografica per un’arma nello scatto di Francesco Cito. Ci sono foto che sono anche atti poetici. Abbiamo trovato dei lampi di poesia nell’orrore”.

di Francesca Monti

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