Intervista con Angela Ciaburri: “Alessia, il personaggio che interpreto in “Resta con me”, è affascinante perché unisce commedia e dramma”

“Il mio personaggio ha un disorientamento nel porsi verso gli altri, ma al contempo ha una grande lucidità e sensibilità nel comprendere quello che le accade intorno”. Angela Ciaburri è tra i protagonisti di “Resta con me”, in onda su Rai 1 la domenica in prima serata, da un’idea di Maurizio de Giovanni, con la regia di Monica Vullo.

Nella serie in otto serate, coprodotta da Rai Fiction e Palomar, la talentuosa attrice, che il pubblico ha apprezzato in “Gomorra 3″ e Noi”, e che ha debuttato alla regia teatrale con “Chilometro 42”, interpreta Alessia Spada, un’agente della Squadra Mobile di Napoli che sta affrontando il divorzio dal marito e le questioni legate alla custodia dei figli. Forse per questo soffre più di tutti i suoi colleghi, perché le sembra che il rapporto fraterno che li ha sempre uniti si sia spezzato. Impulsiva e senza peli sulla lingua, spesso la sua schiettezza rischia di essere scambiata per insolenza, soprattutto dalla Raimondi (Maria Pia Calzone).

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Nella foto Angela Ciaburri, Maria Pia Calzone, Arturo Muselli, Amedeo Gullà – credit Gianni Fiorito 

Angela, in “Resta con me” interpreti Alessia Spada, una poliziotta che sta vivendo un momento complicato della sua vita. Come hai lavorato per entrare nel personaggio?

“In genere parto sempre dalla grande ferita del personaggio e cerco di capire quale sia il suo punto di vulnerabilità. Nel caso di Alessia è l’amore. Nel momento in cui cadono i riferimenti del suo privato si disorienta e dice qualsiasi cosa le venga in mente. Quando siamo sicuri, tranquilli con noi stessi riusciamo anche a vedere il mondo con distacco, lei invece è totalmente immersa nel dolore, e quindi non si preoccupa più di cosa i suoi comportamenti possano scaturire negli altri. A livello superficiale può così sembrare insolente, antipatica, a volte maleducata ma chi la conosce davvero vede quella ferita e l’accetta. Abbiamo riflettuto anche sul rapporto che ha con Nunzia Raimondi, il capo della Squadra Mobile di Napoli, interpretato da Maria Pia Calzone. All’interno di un commissariato c’è una struttura gerarchica verticalizzata e il fatto che il mio personaggio si senta autorizzato a risponderle in quel modo denota un’incapacità di controllarsi”.

E’ un personaggio ricco di sfumature, qual è quella che più ti è piaciuto interpretare?

“Alessia, insieme a Salvatore Ciullo, a cui dà il volto Antonio Milo, porta avanti la linea brillante in questa serie che ha il pregio di mescolare tanti generi diversi. E’ uno dei pochi personaggi tra quelli fatti finora che unisce commedia e dramma ed è l’aspetto che lo ha reso più affascinante ai miei occhi”.

Hai trovato dei punti di contatto con Alessia?

“Abbiamo diversi punti di contatto, ho cercato di trovare tra le sue caratteristiche la forza di volontà, la determinazione. Alessia ha un disorientamento nel porsi verso gli altri, ma al contempo ha una grande lucidità e sensibilità nel comprendere quello che le accade intorno, nonostante il dolore”.

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Angela Ciaburri con Francesco Arca e Maria Pia Calzone – credit Gianni Fiorito

Com’è stato essere diretta da Monica Vullo e come ti sei trovata sul set?

“Con Monica è stato amore a prima vista, ci siamo conosciute al provino e ho subito capito che poteva funzionare lavorare con lei. E’ molto chiara, sa quello che vuole, ascolta gli attori e le loro proposte, le approfondisce e hai sempre la sensazione di creare qualcosa insieme. In generale sul set mi sono trovata benissimo con i miei colleghi e le mie colleghe, ho conosciuto delle grandi persone, dei professionisti. C’era serietà, rispetto, anche degli altri reparti e mi sono sentita protetta. Stando quasi 24 ore insieme ogni giorno con Francesco Arca, Maria Pia Calzone, Arturo Muselli, Amedeo Gullà, Chiara Celotto, Antonio Milo, ci siamo voluti bene, accettati e sostenuti nelle nostre fragilità”.

Ci racconti l’emozione vissuta presentando la serie agli allievi della Scuola Superiore di Polizia di Roma?

“E’ stato bellissimo. Abbiamo visitato il sacrario, una stanza di vetro di colore blu elettrico con i nomi di tutti coloro che hanno perso la vita in servizio, che ha al centro un’opera d’arte, un braciere di legno in cui sono poste delle schegge spezzate di cristalli che rappresentano le vite spezzate delle donne e degli uomini che si sono sacrificati per il bene comune. E’ stato molto emozionante. La disciplina, il rigore, l’integrità di queste persone mi ha colpito. E poi sentire ridere alle mie battute gli allievi, i poliziotti, i loro capi, perchè più di tutti possono capire cosa significhi infrangere la gerarchia di una forza armata come faccio nella serie con Alessia, mi ha dato soddisfazione. Io sono laureata in giurisprudenza e tra i miei sogni, più che diventare attrice, c’erano fare il pubblico ministero o entrare in polizia, e addirittura ho provato ad iscrivermi tre volte a dei concorsi, ma non sono riuscita a partecipare per vari impegni di lavoro. Interpretare Alessia e presentare la serie alla Scuola Superiore di Polizia di Roma per me è stato come chiudere un cerchio, in quanto sono arrivata comunque, anche se in modo diverso, a realizzare quel sogno, ed è stato bellissimo”.

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Angela Ciaburri con Livio Kone nella serie “Noi” – credit foto ufficio stampa Rai

Alessia ha un filo comune che la lega ad altri due personaggi da te interpretati, seppur diversi tra loro, Carmela in “Gomorra 3” e Betta in “Noi”, cioè l’amore verso la famiglia e i figli, oltre alla determinazione…

“Sono tre donne molto diverse tra loro e averle interpretate mi dà grande soddisfazione come attrice perchè vuol dire che la fiducia mi viene data a prescindere dai ruoli. Oltre all’amore per la famiglia e per i figli hanno in comune il fatto di essere realizzate e di essersi costruite una professione. Carmela ha aperto una pizzeria nonostante provenga da una famiglia di criminali, Betta è un architetto e combatte per tornare a lavorare, discutendo anche con il marito, Alessia, come si è visto in una scena nella prima puntata, dopo essersi disperata da sola in ufficio, quando arriva una persona che deve fare una deposizione si asciuga le lacrime e ridiventa l’agente che lavora in un commissariato e sta cercando l’assassino. Questo mi ha fatto pensare che impersono delle grandi donne che meritano di essere chiamate tali, che riescono a tenere insieme tutti i pezzi”.

A proposito di grandi donne, hai debuttato alla regia teatrale con “Chilometro 42”, che racconta la storia di Kathrine Switzer, la prima donna ad aver corso la maratona. Che esperienza è stata e com’è nata l’idea di mettere in scena questo spettacolo?

“E’ stato un lavoro molto difficile, durato un anno e mezzo. Mi sono sempre messa un po’ nelle mani degli altri sia perché ho deciso di fare l’attrice sia in quanto non ero ancora riuscita a intercettare la mia identità artistica. Come esecutrice e come interprete avevo raggiunto le mie sicurezze e ho pensato in che modo poter trasmettere la mia idea di fare oggi teatro, un’arte la cui funzione è messa in discussione. Ho capito che potevo farlo solo con uno spettacolo che avesse la mia regia e che venisse recitato da me. L’idea di “Chilometro 42″ è nata perchè Giovanni Bonacci, che è l’autore e l’ideatore, aveva un progetto sui grandi dello sport e ad un evento che si chiama Superficie, che punta il focus sugli attori che sono sotto le stelle ma sopra il sommerso, che vivono del proprio lavoro ma non sono ancora conosciuti ai più, aveva raccontato in dieci minuti la storia di questa atleta di cui non sapevo nulla. Così ho chiesto se gli andasse di scrivere un testo integrale e ho capito che Kathrine Switzer poteva essere il veicolo attraverso il quale non solo portare avanti l’arco di queste grandi donne che ho avuto la fortuna di interpretare ma allo stesso tempo aiutarmi ad iniziare il percorso alla ricerca di un’identità artistica. E credo di averlo intrapreso”.

Lo spettacolo affronta tematiche molto attuali come la ricerca dell’identità, ma anche l’inclusione, la parità di diritti. Cosa manca ancora affinché possano essere raggiunte?

“Manca la normalità di quella parità nel quotidiano. Finché sentiremo la necessità di parlarne, io per prima che ho realizzato uno spettacolo su questo, di certificare la nostra parità, di mettere in evidenza l’uguaglianza dei diritti tra noi e il genere maschile significa che stiamo facendo ancora troppo poco. C’è qualcosa che non è del tutto paritario anche nel linguaggio, per un retaggio culturale, perché fa parte della nostra educazione. Quando non sentirò più l’esigenza di raccontare una storia per sottolineare quanto sia giusto che una donna partecipi alla maratona vorrà dire che avremo vinto e che la cultura avrà assorbito questi concetti”.

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Angela Ciaburri in “Chilometro 42”

Che rapporto hai con lo sport?

“Sono stata una giocatrice di pallavolo a livelli abbastanza alti, giocavo in difesa, nel ruolo di libero, poi ho lasciato l’agonismo per dedicarmi al teatro quando ho capito che era la mia strada. Il gioco di squadra in generale è quello che prediligo, che poi è un concetto che ho riscontrato e portato anche nel mio lavoro, dove è fondamentale la necessità di stare con l’altro. Sono una sportiva, mi sono avvicinata alla corsa grazie allo spettacolo e questo mi ha permesso di modificare il rapporto con il mio corpo, imparando ad ascoltarlo e a capire quando è in difficoltà, perchè negli sport individuali hai una connessione più profonda con esso”.

In quali progetti ti vedremo prossimamente?

“Ho appena finito di girare un film molto raffinato per il cinema, si chiama “Girasoli”, con la regia di Catrinel Marlon. E’ stata un’esperienza bellissima, con attori bravissimi. Il prossimo anno poi faremo una tournée con “Chilometro 42″, in quanto penso sia una storia che valga la pena diffondere, non soltanto ad un pubblico che ama il teatro ma anche a chi si avvicina a quest’arte, ai ragazzi soprattutto, affinché possano appassionarsi. Sono infine in attesa di due risposte per progetti importanti e spero che siano positive”.

Ti piacerebbe in futuro misurarti anche con la regia di un film?

“Sono per la specificità delle competenze, ho fatto la regia teatrale perchè ho masticato tanto teatro come spettatrice e come attrice. Nell’audiovisivo mi sento più acerba come regista o autrice. Penso che la cosa migliore sia affidarsi a chi fa questo mestiere. Magari acquisendo delle competenze in più, col tempo, mi verrà voglia di raccontare una storia anche per il cinema. In testa ho già delle idee per un documentario. Sto aspettando il momento giusto per poterlo realizzare”.

di Francesca Monti

Grazie a Viviana Ronzitti

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