Intervista con Franco Nero, regista e protagonista del film “L’uomo che disegnò Dio”: “E’ importante per me avere un confronto generazionale con i giovani”

“L’idea del film è nata da Eugenio Masciari che qualche anno fa aveva scritto una storia su una vicenda che gli avevano raccontato riguardante un non vedente che a Torino, sentendo parlare le persone, realizzava i loro visi con la plastilina”. Si intitola “L’uomo che disegnò Dio” il nuovo lungometraggio diretto da Franco Nero, al cinema dal 2 marzo, distribuito da L’Altrofilm.

Il leggendario attore, alla sua opera seconda come regista dopo “Forever Blues”, ricopre anche il ruolo di protagonista, interpretando Emanuele. Nel cast principale troviamo anche Stefania Rocca, Wehazit Efrem Abraham, Isabel Ciammaglichella, Diana Dell’Erba e Vittorio Boscolo, nonché i Premi Oscar Kevin Spacey e Faye Dunaway, insieme a Robert Davi e Massimo Ranieri.

Emanuele è un anziano, solitario e cieco, con un grande dono: la capacità di ritrarre chiunque semplicemente udendone la voce. Nessuno conosce questa “magia”, tranne la sua assistente sociale Pola (Stefania Rocca) e gli studenti della scuola serale dove insegna ritrattistica a carboncino. La sua vita viene sconvolta quando Pola gli presenta due immigrate africane: Maria (Wehazit Efrem Abraham), una vedova che è venuta in Italia sperando in un futuro migliore, e sua figlia Iaia (Isabel Ciammaglichella). Le due si trasferiscono da lui occupandosi in cambio della casa. Una sera, Iaia registra l’anziano mentre sta disegnando un suo ritratto e carica il video online. La “magia” diventa virale in brevissimo tempo. Emanuele viene notato dal “Talent Circus”, uno show televisivo che scopre straordinari talenti che sfrutta per audience. Una favola sulla necessità di riscoprire il miracoloso potere della dignità in un mondo dove il rumore dei media ha risolto il problema dell’imperfezione dell’uomo semplicemente eliminando il problema stesso.

In questa intervista che ci ha gentilmente concesso Franco Nero ci ha parlato di “L’uomo che disegnò Dio”, ma anche della sua carriera e del libro “Django e gli altri. Molte storie, una vita”.

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Franco, ci racconta com’è nata l’idea del film “L’uomo che disegnò Dio” e come ha lavorato alla regia?

“L’idea è stata di Eugenio Masciari che qualche anno fa aveva scritto una storia su una vicenda che gli avevano raccontato riguardante un non vedente che a Torino, sentendo parlare le persone, realizzava i loro visi con la plastilina. Un giorno mi disse che avrebbe voluto che fossi io a dirigere e interpretare il film, ma inizialmente non siamo riusciti a trovare un produttore. Poi è arrivata una sceneggiatrice americana che ci ha fatto perdere quattro anni trasformando il soggetto in un'”americanata”. Infine due anni e mezzo fa, dato che sono testardo e voglio portare a termine i progetti, ho chiamato Lorenzo De Luca e abbiamo scritto insieme la sceneggiatura, ambientando lo show non nei classici studi televisivi ma in un circo, luogo che ho sempre amato fin da bambino. Il progetto è stato supportato dal Ministero, da Rai Cinema, dalla Regione Piemonte, e abbiamo trovato i finanziamenti per realizzarlo. Abbiamo effettuato le riprese d’estate, durante la pandemia, con 38 gradi all’esterno e 47 gradi sotto al tendone del circo e non è stato semplice. Ho girato “L’uomo che disegnò Dio” come si faceva negli anni Sessanta-Settanta, con i tempi necessari, senza fretta e in modo semplice. Da anni poi volevo mettere in un film “Kum Ba Ya, my Lord”, una canzone africana che è presente nei titoli di coda, interpretata dalla cantante lirica tedesca Kriemhild Maria Siegel, che ha un testo molto bello e poetico”.

Nel film interpreta Emanuele, a chi si è ispirato nella costruzione del personaggio?

“Da sempre mi affascina molto il mondo della cecità. Ho conosciuto diverse persone non vedenti e hanno una sensibilità grandissima. Tra di loro c’è un uomo che abita vicino casa nostra, a Londra, e fa delle cose incredibili, conosce perfettamente i tempi, attraversa i passaggi pedonali da solo. Mi sono ispirato a lui e ad altre persone per interpretare Emanuele”.

“L’uomo che disegnò Dio” racchiude molti temi attuali, dall’immigrazione alla solitudine degli anziani, dal razzismo alla tv che sfrutta le storie drammatiche per fare ascolti…

“Oltre alla cecità c’erano diverse tematiche particolarmente attuali e a me care, che ho inserito nel film, a cominciare dall’immigrazione, infatti Emanuele ospita a casa sua Maria e Iaia, una mamma e una bambina che sono scappate dalla guerra in Africa e sono arrivate in Italia, come accade a tante persone che sono costrette a lasciare i loro paesi, rischiando la vita alla ricerca di un futuro migliore. Un altro tema è quello della tv spazzatura che in questo caso si approfitta di un cieco per fare audience. Ci sono poi il razzismo, che purtroppo continua ad esistere anche in Italia, infatti Iaia viene presa in giro dai compagni di scuola, e la solitudine della vecchiaia, che traspare dalle parole del mendicante interpretato da Massimo Ranieri”.

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Franco Nero con il cast di “L’uomo che disegnò Dio”

Come ha scelto il cast?

“Ho fatto parecchi provini per trovare le protagoniste, alla fine ho scelto Wehazit Efrem Abraham per il ruolo di Maria e Isabel Ciammaglichella per quello di Iaia. Non sono attrici professioniste ma sono molto brave. Ho chiamato poi Massimo Ranieri per fare questo cameo, Stefania Rocca che è un’attrice magnifica per dare il volto a Pola, quindi ho chiesto alla mia amica Faye Dunaway se volesse interpretare questa donna anziana che vive nella casa di riposo e a Robert Davi di vestire i panni dell’avvocato. Infine per caso un amico di Louis Zero che vive in America ha saputo che a Kevin Spacey avrebbe fatto piacere prendere parte a un film con me e che aveva voglia di tornare sul set. C’eravamo conosciuti quando era direttore del teatro Old Vic di Londra e abbiamo cenato qualche volta insieme. Spacey ha letto la sceneggiatura, gli è piaciuta e ha impersonato il commissario, mettendosi molto umilmente alle mie dipendenze”.

Ha lavorato con grandi registi, da Corbucci a Damiani, da Petri a Festa Campanile, solo per citarne alcuni. Si è ispirato a qualcuno di loro per le sue opere?

“A nessuno in particolare, anche se avendo avuto la fortuna di lavorare con grandissimi registi ho cercato di “rubare” a tutti qualche segreto, in senso positivo e costruttivo. Gli attori quando fanno la regia hanno una sensibilità diversa, specialmente nella direzione del cast. Penso ad esempio a Charlie Chaplin, Buster Keaton, Vittorio De Sica, Pietro Germi, Clint Eastwood, Robert Redford, Kevin Costner, erano attori e registi e hanno realizzato dei bellissimi film”.

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Franco Nero con Isabel Ciammaglichella in “L’uomo che disegnò Dio”

Nella sua opera prima “Forever Blues” il protagonista da lei interpretato, Luca, aveva un legame speciale con Marco, un bambino autistico, in “L’uomo che disegnò Dio” Emanuele entra in sintonia con un’adolescente, Iaia. Quanto è importante per lei il confronto generazionale?

“E’ molto importante e bellissimo per me avere un confronto generazionale con i giovani. Collaboro da oltre cinquanta anni con il Villaggio Don Bosco, situato a Tivoli, dove trovano riparo e supporto ragazzi scappati dalla guerra, orfani, poveri, di varie nazionalità e ho sempre avuto un rapporto speciale con loro. Questa missione mi ha aperto gli occhi su tante cose”.

Nel film Emanuele afferma: “Il pietismo verso i disabili è una forma di razzismo che non tollero”. Cosa si può fare per superare i pregiudizi verso l'”altro”?

“Credo che sia necessario saper educare le nuove generazioni, affinché possano avere uno sguardo diverso sul mondo e capire ad esempio che il razzismo è una cosa terribile”.

Tra i 240 film a cui ha preso parte nella sua straordinaria carriera ha recitato in “Zanna Bianca” di Lucio Fulci con Virna Lisi e ne “Il giorno della civetta” di Damiano Damiani, per il quale ha vinto anche un David di Donatello. Che ricordo conserva di questi due lavori?

“Zanna Bianca è un film per ragazzi, tratto dal celebre romanzo di Jack London, e ho voluto prendervi parte perché nella mia carriera ho scelto di spaziare tra tutti i generi per raggiungere ogni tipo di pubblico. Il Giorno della Civetta è un film di denuncia, particolare, che ho amato fare anche perché sono figlio di un Carabiniere, ho vissuto da piccolo in caserma e conosco quel mondo. Sono due pellicole molto belle, che porto nel cuore e che vengono spesso riproposte in tv, in Italia e nel mondo”.

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Nel 2022 è uscito il suo libro “Django e gli altri. Molte storie, una vita” (Rai  Libri). Come mai ha deciso di scriverlo?

“Ho sempre pensato che gli attori si devono sognare sullo schermo, come facevo io da ragazzo quando guardavo al cinema i film con Marlon Brando, Burt Lancaster e Paul Newman, senza sapere nulla della loro vita privata. Per questo ero restio a fare interviste, a partecipare ai talk show, e mantenevo una certa discrezione. Quando Rai Libri mi ha chiesto se volessi raccontare la mia storia ho risposto di no. Dopo qualche giorno ci ho ripensato e ho capito che forse alla mia età non sarebbe stato male far conoscere al pubblico italiano qualcosa in più sulla mia vita. In pochi ad esempio sanno che sono stato in oltre cento paesi del mondo, ho lavorato con cinematografie mondiali, interpretato personaggi di trenta nazionalità differenti, quindi ho fatto una sorta di riassunto perché se dovessi raccontare tutto sarebbero necessari dieci volumi (sorride). Il titolo nasce dal fatto che Django è il ruolo che mi ha reso famoso quando ero giovane, infatti il libro inizia e si conclude con un discorso tra me e questo personaggio”.

A proposito, ha preso parte alla miniserie Sky Original “Django”, che vede la direzione artistica di Francesca Comencini, nel ruolo di Jan…

“Io amo il cinema e non la tv, che guardo solo per seguire lo sport e i tg. Inizialmente dovevo prendere parte al film “Django lives! (Django vive ancora)”, ambientato nel 1914 quando negli Stati Uniti aprivano gli studi per fare i western muti, e interpretare Django all’età di 60-70 anni. Dovevamo girare a New Orleans, ma con l’avvento della pandemia si è bloccato tutto. Un giorno la Cattleya nella persona di Riccardo Tozzi mi ha contattato e convinto a partecipare a questa serie in dieci episodi, in onda su Sky, nel ruolo di Jan, un reverendo che è anche un medico che aiuta Django e guarisce altre persone. Ho accettato ad una condizione, girare la mia parte in una sola settimana. Così è stato e sono andato in Romania per le riprese”.

Verrà ripreso il progetto legato al film “Django lives! (Django vive ancora)”?

“Ne stanno parlando e c’è l’intenzione di riprendere il progetto. Spero che si possa realizzare perchè ha una bella sceneggiatura scritta da John Sayles”.

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credit foto Riccardo Ghilardi

C’è un film in particolare tra quelli da lei interpretati che porta nel cuore?

“I film che ho fatto è come se fossero tutti dei figli per me. Alcuni magari sono venuti meglio, altri peggio, ma quando si accetta di partecipare ad un progetto si spera sempre che sia bello, particolare, che ti faccia riflettere. Sicuramente sono legato ad una pellicola del 1967, realizzata con i miei amici. All’inizio della mia carriera giravamo dei corti a Salsomaggiore, insieme a Vittorio Storaro, diventato poi un grande direttore della fotografia, ai fratelli Bazzoni. Mi mettevano sempre davanti alla macchina da presa per interpretare i vari personaggi perchè dicevano che ero il più carino. Poi sono andato in America per le riprese di “Camelot” e avevo un contratto con la Warner per fare altri cinque progetti. Ma questi amici italiani mi chiamavano spesso chiedendo di tornare in Italia per realizzare il nostro film. Così un giorno sono andato da Jack Warner, il capo della casa di produzione cinematografica, gli ho spiegato che sentivo la mancanza della mia terra e della mia famiglia e sono riuscito a strappare il contratto e a rientrare a casa. Abbiamo girato questo film, ispirato alla Carmen di Prosper Mérimée, uscito in Italia con il titolo “L’uomo, l’orgoglio, la vendetta”, in cui Tina Aumont era Carmen, io vestivo i panni di Don Josè, Klaus Kindi era Garcia”.

di Francesca Monti

credit ritratto copertina Riccardo Ghilardi

Grazie a Maya Reggi, Raffaella Spizzichino, Carlo Dutto

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