Intervista con Rosario Lisma, a teatro con “Il Giardino dei Ciliegi”: “Oggi sempre di più parliamo di denaro e convenienza economica e non di ciò che è nutrimento per l’anima”

“Non volevo dare una lettura pedissequa del testo, ho cercato di esaltarne l’autenticità e rispettare l’autore ma attraverso un adattamento che potesse essere più vicino al pubblico di oggi”. Rosario Lisma cura la regia e l’adattamento de “Il Giardino dei Ciliegi” di Anton Cechov, spettacolo teatrale di cui è anche interprete con Milvia Marigliano, Giovanni Franzoni, Eleonora Giovanardi, Tano Mongelli, Dalila Reas e con la partecipazione in voce di Roberto Herlitzka, in scena al Teatro Mercadante di Napoli dal 14 al 19 marzo e al Teatro Sala Umberto di Roma dal 21 marzo al 2 aprile.

Il Giardino dei Ciliegi è l’ultimo lavoro di un Cechov malato e vicino alla morte; eppure, mai così attaccato alla vita. Intesa come respiro, anima del mondo e speranza nel futuro. Ljuba e suo fratello Gaev, un tempo lieti, da bambini, tornano nell’età matura nel luogo simbolo della loro felicità appassita, da cui si intravede il loro giardino dei ciliegi, un tempo motivo di vanto e orgoglio in tutto il distretto. Ora però i ciliegi non producono più frutti commerciabili, sono solo l’ombra di un passato che non tornerà più. Così le speranze, la giovinezza, l’amore, tutto ciò che era legato simbolicamente al giardino è andato perduto. Il declino economico accende brutalmente quello della loro esistenza a cui non sanno, o non vogliono, porre rimedio. Ljuba ormai ha perduto il marito e il suo amato figlio piccolo. Eppure, sopraffatta dai debiti, non si rassegna ad abbandonare il sogno: la nostalgia del suo luminoso passato dove risiede illusoriamente la sua armonia. Così il fratello Gaev, adulto mai cresciuto da una condizione puerile fatta di giochi e lazzi spenti. Chiamato per una volta alla sua responsabilità di uomo di casa nella vendita all’asta del giardino, non riesce a combinare nulla. Lopachin, invece, nuovo arricchito, figlio del contadino, riuscirà a imporre la propria persona non solo con l’abilità degli affari, ma soprattutto con la lucidità inesorabile di chi è consapevole del proprio ruolo. Eppure, al contrario di Ljuba e Gaev, totalmente incapace di amare, di gestire la propria sensibilità. Varja, figlia maggiore di Ljuba, fioca luce di armonia in una casa prossima al buio, delusa dall’insipienza amorosa di Lopachin, andrà a rifarsi una vita altrove. Anja, la piccola di casa, dolce ragazza in fiore, seguirà Trofimov, eterno studente idealista e scombinato, ma insieme potranno guardare al futuro.

Attore e regista di elevata caratura, Rosario Lisma tornerà in scena a maggio con lo spettacoloEdificio 3″ con la regia di Claudio Tolcachir e a giugno con il monologo “Giusto”, mentre recentemente lo abbiamo visto al cinema in “La stranezza”, film vincitore del Nastro Argento dell’Anno.

Il giardino dei ciliegi©Laila Pozzo-6
foto ©Laila Pozzo

Rosario, come ha lavorato alla regia e all’adattamento dello spettacolo teatrale “Il Giardino dei Ciliegi”?

“La voglia di portare in scena “Il Giardino dei Ciliegi” nasce dal mio amore fin da ragazzo per Cechov e finalmente c’è stata la possibilità. Non volevo dare una lettura pedissequa del testo, ho cercato di esaltarne l’autenticità e rispettare l’autore ma attraverso un adattamento che potesse essere più vicino al pubblico di oggi, convertendolo per quanto possibile ad una contemporaneità. Quindi il messaggio d’amore non arriva con un telegramma ma attraverso i cellulari, non c’è l’orchestrina ebrea ma i revival anni Settanta. Ho cercato di tirare fuori tutto ciò che di Cechov penso ci sia nel testo originale, didascalia per didascalia, pausa per pausa, con elementi misteriosi e metafisici che l’autore implica, come la corda di violino spezzata o alcune cose misteriche che in altri allestimenti spesso non ho visto”.

“Il Giardino dei Ciliegi” è l’ultimo lavoro di Cechov prima della sua scomparsa ma al contempo, e questo rende ancora più intensa l’opera, c’è un attaccamento alla vita e una speranza nel futuro, data soprattutto dai giovani Anja e Trofimov…

“Per la prima volta Cechov affida un raggio di speranza a due personaggi che stanno su questa terra, mentre gli altri testi erano più pessimisti o si rimettevano ad una salvezza ultraterrena, come ad esempio Sonja in Zio Vanja, mentre qui c’è Anja, che è una ragazza carica di quella speranza data dall’amore verso Trofimov, che è un idealista fino a diventare buffo, ma che ha dentro di sé una forza giovanile, nonostante il decadimento oggettivo al quale assistiamo, cioè la vendita e la distruzione della tenuta, del giardino e dell’identità della propria famiglia. E’ una novità assoluta ed è ancora più commovente e significativa se pensiamo che l’autore scrive quest’opera proprio sapendo che la morte potesse essere una possibilità concreta e vicina, essendo molto malato”.

Cechov afferma che “l’uomo diventa migliore quando gli avremo mostrato com’è”, pensando alla difficoltà dell’essere umano di guardarsi dentro. Concorda con quell’affermazione?

“Sono completamente d’accordo, il tentativo di Cechov è meraviglioso, nobile, stupendo e penso che questa sia la funzione dell’arte che vuole riprodurre, pur sublimandola, pur con diversi linguaggi che non siano per forza una copia della vita. Le arti sono lo specchio della realtà e degli esseri umani, soprattutto il teatro, dove ci sono corpi vivi che guardano altri corpi vivi, al buio, che un po’ rappresentano se stessi. Gli spettatori, in particolare quelli più colti, abituati al teatro, spesso sono carichi di “incrostazioni” che impediscono di lasciarsi andare al viaggio anche interiore verso se stessi ma questo spettacolo ad esempio ha ricevuto dei feedback in tal senso. Tante persone mi scrivono che hanno avuto l’occasione di fare un po’ un’analisi di se stessi, un bilancio della propria vita. Questo è l’intento dell’autore e io mi faccio carico di questa funzione”.

Il giardino dei ciliegi©Laila Pozzo-14

foto ©Laila Pozzo

Nello spettacolo interpreta Lopachin, un ricco mercante che però è incapace totalmente di amare…

“E’ un personaggio modernissimo anche se è stato scritto 120 anni fa, ma i grandi poeti hanno questa capacità lungimirante di profondità, di saper scavare nelle personalità del prossimo. Lopachin è carico di forti risentimenti nei confronti degli aristocratici, ha avuto un’infanzia infelice, funestata da violenza famigliare, da modelli sbagliati, eppure possiede un’anima delicata come viene detto da Petr, lo studente. Non è stato educato al bello, all’armonia e tanto meno all’amore. L’unica cosa che ha imparato a fare è il callo nei confronti dei sentimenti per cercare di ribaltare la propria situazione di povertà e subalternità trasformandola in una posizione materialista, economicista, affarista. Non è una persona arida, la cosa struggente è che ha in potenza un desiderio di amore ed essere amato ma non riesce a praticarlo e mi sembra una cosa moderna e contemporanea perchè tanti oggi sono così, ancora di più che nell’epoca di Cechov”.

Poco fa diceva che molti spettatori hanno avuto modo di fare un’analisi di se stessi guardando “Il Giardino dei Ciliegi”, che tipo di riflessioni le ha portato questo spettacolo in qualità di attore e regista?

“Cerco di dare voce a Lopachin andando a saccheggiare le parti di me più profonde e inconfessabili che gli somigliano. E’ anche una persona che ha una sua tenerezza ed è buffo perchè si trova in una situazione in cui vorrebbe essere in un modo, penso all’eleganza e ad una cultura che hanno gli aristocratici, invece incorre in gaffe o in scene buffe. Ho voluto dare come visione registica una luce particolare e favorevole a Ljuba e Gaev, di solito vengono dipinti con un certo giudizio negativo, come se fossero aristocratici annoiati e sciocchi e meritino la fine che fanno. Io non credo che l’autore sia così banale, ma che per questo immobilismo dei personaggi ci sia una ragione profonda più grande e valida rispetto a fare un’operazione di salvezza economica e finanziaria. Queste persone sentono l’urgenza non solo della difesa del proprio passato, della vita, dell’identità, del nome, dell’infanzia, della personalità ma anche del bello ed è questo che agli occhi di un materialista come Lopachin non ha senso. Direi che anche nella società di oggi il bello, l’effimero, quello che come nel giardino dei ciliegi svanisce dopo un giorno o due giorni, è considerato di poco conto rispetto a quello che è produttivo, materialista, commerciabile. Oggi sempre di più parliamo di denaro e convenienza economica e non di ciò che è conveniente per l’anima, cioè il nutrimento della cultura, dell’arte, del bello”.

A proposito di cultura, si è parlato anche di censurare le opere di autori russi dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia…

“La grande cultura russa da Dostoevskij a Bulgakov, da Gogol’ a Majakovskij, appartiene a tutta l’umanità, quindi le opere non posso essere limitate a causa di un governo che compie dei crimini abominevoli e delle nefandezze. Allo stesso modo quando in Italia c’era il Fascismo nessuno si sarebbe sognato di censurare Goldoni o Dante all’estero. Non avrebbe senso”.

AC1A3496

credit foto Marco Ragaini

Nel film “La stranezza” interpreta Mimmo Casà, il corrotto direttore del cimitero di Girgenti a cui si rivolge Pirandello. Che esperienza è stata?

“Mimmo Casà è un funzionario orribile e anche abbastanza grottesco, disonesto e corrotto. Girando questo film mi sono venute in mente certe ambientazioni di Pietro Germi o Elio Petri. Il regista Roberto Andò e il direttore della fotografia si sono divertiti a riprendermi con un’ottica che quasi trasfigurava il volto nel primo piano. Ad un certo punto pensiamo di conoscere e giudicare il personaggio attraverso i suoi vizi e le sue nefandezze, invece poi si scopre, grazie alla chiave del sentimento del contrario, che codificò Pirandello nel suo saggio sull’umorismo, anche una sua infelicità e caduta davanti alla vergogna del paese nella scena del teatrino e questo mi ha dato gusto nell’interpretarlo. Mimmo è profondamente umano”.

Ha dato il volto anche a Felice Maritano nella serie “Il nostro Generale”, che racconta la storia del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e ci ricorda quanto sia importante la memoria e il ricordo di grandi figure che hanno segnato la storia del nostro Paese…

“Felice Maritano è stato il primo, tra i Carabinieri del Nucleo Operativo Antiterrorismo fondato da Dalla Chiesa, a cadere sotto i colpi delle armi da fuoco delle Brigate Rosse. E’ un personaggio eroico non soltanto per come è morto ma anche perché per meriti di guerra era prossimo alla pensione, pur essendo ancora giovane, ma è accorso all’appello del Generale che conosceva in quanto sentiva il dovere di far parte di questa squadra per difendere la democrazia. Erano anni turbolenti, non era facile scendere in prima linea contro il pericolo eversivo”.

In quali progetti sarà prossimamente impegnato?

“Ci sono dei nuovi progetti, anche cinematografici. A teatro riprenderemo nella prossima stagione “Il Giardino dei Ciliegi”, mentre a maggio saremo in scena all’Argentina di Roma con “Edificio 3 – Storia di un intento assurdo”, che ha debuttato un anno e mezzo fa, prodotto dal Piccolo Teatro di Milano e Carnezzeria. Inoltre porterò il mio monologo dal titolo “Giusto”, prodotto dal Teatro della Tosse, all’Elfo Puccini di Milano. E’ uno spettacolo a cui tengo tantissimo, che è ben riuscito vedendo l’affetto che mi riserva il pubblico”.

Nella sua carriera ha interpretato opere di grandi autori come Tasso, Pirandello, Cechov. C’è un testo in particolare che le piacerebbe portare in scena come regista o attore?

“Come regista mi piacerebbe portare in scena Pirandello e continuare la mia indagine su Cechov, mentre come attore il sogno è recitare un’opera di Eduardo De Filippo, un altro mio amore viscerale. Non sono napoletano, ma per fortuna tutti gli attori hanno la possibilità di recitarlo e credo di avere anche dimestichezza con gli accenti”.

di Francesca Monti

credit foto Marco Ragaini

Grazie a Simona Pellino

Rispondi