ROCCO SCHIAVONE 5 – Intervista con Ernesto D’Argenio: “Il tratto della personalità di Italo che più mi incuriosisce esplorare è la fragilità”

“Oggi è più facile proiettarsi nella vittoria, nel successo, nell’immagine di questi uomini o di queste donne che hanno tutto, che possono fare qualunque cosa, ma ci sono anche tante altre storie di fragilità e di sconfitta che appartengono maggiormente agli esseri umani e nelle quali possiamo riconoscerci”. Ernesto D’Argenio è tra i protagonisti di “Rocco Schiavone 5”, in onda su Rai 2 il mercoledì sera, tratta dai romanzi e racconti di Antonio Manzini, editi in Italia da Sellerio, con la regia di Simone Spada e la coproduzione di Rai Fiction, Cross Productions e Beta Film.

Nella serie di successo l’attore interpreta Italo Pierron, agente e fidato collaboratore di Schiavone (Marco Giallini), che sta vivendo un momento di crisi personale e lavorativa.

In questa intervista Ernesto D’Argenio, con grande profondità, umiltà ed entusiasmo, ci ha parlato del suo personaggio, ma anche dell’esperienza nel film “Rita Levi Montalcini”, dei ricordi legati ad Ettore Scola e del desiderio di fare un viaggio a New York e in Giappone dove ancora non è stato.

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Ernesto D’Argenio, Christian Ginepro, Marco Giallini, Alberto Lo Porto, Gino Nardella, Massimiliano Caprara in “Rocco Schiavone 5” – credit foto ufficio stampa Rai

Ernesto, in “Rocco Schiavone 5” vesti nuovamente i panni di Italo, che nel corso delle stagioni ha avuto un’importante evoluzione. Qual è il tratto di questo personaggio ricco di molte sfumature che più ti ha incuriosito raccontare come attore?

“Il tratto della sua personalità che più mi attrae e che mi incuriosisce esplorare come interprete è la fragilità, un aspetto che tendiamo un po’ a non affrontare, specialmente in questi tempi dove c’è sempre una narrazione vincente. Schiavone stesso, per quanto sia ammantato di questo aspetto da perdente, esiliato, alla fine è un vincente, è un uomo brillante, le donne gli cadono ai piedi, ha degli amici che nonostante siano dei mezzi criminali sanno vivere secondo le regole del sistema, tra l’ombra e la luce. Quindi le persone si riconoscono in lui”.

In una società in cui l’apparenza sembra essere più importante dell’essenza, è importante invece che, come accade in questa serie, emergano anche i lati più fragili e le imperfezioni dell’essere umano, come ad esempio per Italo il fatto che sia affetto da ludopatia…

“Oggi è più facile proiettarsi nella vittoria, nel successo, nell’immagine di questi uomini o di queste donne che hanno tutto, che possono fare qualunque cosa, ma ci sono anche tante altre storie di fragilità e di sconfitta che appartengono maggiormente agli esseri umani e nelle quali possiamo riconoscerci. Italo vive nei chiaroscuri, nei riflessi, non è così raccontato. Qualche giorno fa sui social ho postato una foto nei panni del mio personaggio e ho notato mio malgrado che, per quanto ci siano state molte persone capaci di avere una lettura che va oltre la superficie, spesso si tende a semplificare nel giudizio, ad etichettare anziché capire. Quando vedi uno che combatte contro i demoni è automaticamente considerato cattivo. Io metto tutto me stesso per far emergere, nelle scene che le stagioni ci offrono, questo malessere profondo che Italo prova, ma c’è molto di più dietro”.

Hai trovato dei punti di contatto con il personaggio?

“Forse la voglia e il bisogno di essere autonomo, di farcela da solo. Non è che non vuole l’aiuto di Rocco ma dal suo punto di vista Schiavone si pone in modo superficiale, perchè la ludopatia è una malattia, non un vizio o uno sfizio. Quindi dare a Italo dei soldi per ripianare i debiti o mandare l’amico per aiutarlo è come pensare di aggiustare un mobile rotto verniciandolo. Forse questo aiuto, soprattutto per un personaggio come quello da me interpretato, non deve piovere dall’alto ma nascere da una comprensione, da un amore in senso lato, da un rapporto di amicizia profonda. Il fatto che Rocco si ponga come deus ex machina porta Italo a rifiutare questo meccanismo”.

Italo è legato a Rocco da una grande amicizia, com’è stato lavorare con Marco Giallini?

“E’ stata una bella esperienza, anche formativa per tanti aspetti. Nelle dinamiche che si instaurano sul set in questa quinta stagione non c’è stato modo di lavorare molto insieme come era accaduto nelle precedenti, ma fa parte di un’evoluzione che va di pari passo con i nostri personaggi. C’è un un affetto profondo e una grande stima reciproca che Marco mi ha dimostrato anche privatamente e questo vale più di tutto”.

Hai lavorato e vissuto in diversi paesi, dalla Norvegia a Londra all’Estremo Oriente, quanto è stato importante il confronto con culture differenti per la tua formazione artistica e personale?

“E’ vero, il confronto con altre culture allarga gli orizzonti ma devi anche trovare dall’altra parte qualcuno che sia altrettanto curioso e interessato a visioni diverse. Tutti noi in qualche modo rappresentiamo un bagaglio di esperienze che abbiamo visto o vissuto direttamente, poi per questioni di tempo o di incontri non sempre puoi sfoderarle ma capita, nelle occasioni giuste e con qualcuno che le sa valorizzare, di poter instaurare questa bella lotta creativa dove nascono possibilità differenti”.

Viaggiare è una delle tue passioni, qual è il tuo luogo del cuore e quello dove ancora non sei stato e che vorresti visitare?

“Mi ricollego al romanticismo di Schiavone, quello dei romanzi in cui afferma che un posto dove vorrebbe finire i suoi giorni è uno dei campi di lavanda della Provenza. E’ un luogo in cui vado spesso con la mente e dove mi piacerebbe tornare. Nella mia vita ho viaggiato tanto, seppur lavorando, ad esempio sono partito da Melbourne su una nave da crociera arrivando a Venezia e ci si fermava nel corso del viaggio in varie città, visitandole brevemente. Tra le mete che non ho ancora avuto modo di vedere ci sono New York e il Giappone”.

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Ernesto D’Argenio con Elena Sofia Ricci in “Rita Levi Montalcini” – credit foto Lucrezia Torchio

Tra i lavori più recenti c’è la partecipazione al film “Rita Levi Montalcini” nel ruolo del Dottor Lamberti. Com’è stato vestire i panni di questo giovane ricercatore, pieno di speranza ed entusiasmo?

“Rita Levi Montalcini è stata un’altra importante esperienza. Ho lavorato con Alberto Negrin, che è un’autorevole firma della televisione, che tra i vari progetti ha realizzato negli anni Ottanta una miniserie dal titolo “Io e il duce” con artisti del calibro di Bob Oskins, Anthony Hopkins e Susan Sarandon, coprodotta da HBO, per cui è stato bello affiancarlo in questo viaggio. Così come è stato meraviglioso recitare con Elena Sofia Ricci, una grande donna del teatro, del cinema, della tv, una professionista diventata anche un’amica che mi ha dato i consigli giusti ed è molto generosa da questo punto di vista. E’ stato interessante immedesimarmi in quelle persone che hanno dato un contributo prezioso alla ricerca, entrare in quelle maglie, capire come si vive quando si è in qualche modo ispirati e votati verso un obiettivo grande, che non ha per forza a che fare con le luci dei riflettori puntate addosso. Come può essere un ricercatore che dedica la sua vita alla scoperta di qualcosa per cui magari non verrà mai ringraziato o ricordato”.

Uno dei personaggi da te interpretati rimasto nel cuore del pubblico è Saro Ragno nella serie cult “Squadra Antimafia”…

“Era un set stupendo. La gente ancora si ricorda di me per l’interpretazione di Saro Ragno e mi fa enormemente piacere. Era una serie amatissima e molto seguita dal pubblico, nonostante i social non fossero presenti nelle nostre vite come lo sono oggi. In quegli anni c’erano i fan che ci aspettavano fuori dall’albergo e li ringrazio perchè continuano a supportarmi nei vari lavori che faccio. “Squadra Antimafia” è stata un bellissimo banco di prova e sono felice che quel personaggio, del quale ho cercato di far emergere sempre più sfaccettature, sia entrato nel cuore di tanti”.

Sei stato scelto da Ettore Scola per il suo ultimo film, “Che strano chiamarsi Federico”, presentato alla 70ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Che ricordo conservi?

“Scola è un testimone del costume del nostro Paese, ha testimoniato passaggi epocali, dagli anni Quaranta fino all’ultimo film, ed è riuscito a trovare una chiave per raccontare l’Italia e gli italiani nelle loro incongruenze e dicotomie, nella loro ironia. E’ stata un’altra bellissima esperienza. Ricordo che Scola mi chiese di camminare avanti e indietro dentro al Teatro 5. Dopo questa passerella mi ha regalato un momento breve ma lirico in cui interpretavo la figura di Mastroianni di spalle che accompagnava Fellini in questa passeggiata mentre ragionavano insieme e le voci erano quelle originali dei due leggendari artisti. E’ stato qualcosa di magico”.

In quali progetti sarai prossimamente impegnato?

“C’è un progetto corale meraviglioso che però non posso anticipare, arriverà in autunno ed è il motivo per cui Italo nella quinta stagione di “Rocco Schiavone” ha la barba così folta”.

di Francesca Monti

credit ritratto copertina Azzurra Primavera

Grazie a Valeria Papa e Pamela Menichelli

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