E’ recentemente uscito per La Stanza Nascosta Records il nuovo lavoro di Stefano Barotti, “Il grande temporale”. Classe 1972, Barotti scrive canzoni dall’età di sedici anni, canzoni che sembrano restituire le contraddizioni della sua terra d’origine – la Riviera Apuana – luogo di passaggio per eccellenza.. Negli anni, Stefano ha condiviso palco e canzoni con John Popper, Jono
Manson, Kevin Trainor, Paolo Bonfanti, Joe Pisapia, Momo, Max De Bernardi, I Gang, Jaime Michaels, Nada, Kreg Viesselman, Nima Marie e tanti altri.
Sms News Quotidiano lo ha incontrato per parlare del nuovo lavoro.
Joe e Mark Pisapia, Mark Clark e James Haggerty, Jono Manson, John Egenes…da sempre, e “Il grande temporale” non fa eccezione, si circonda di musicisti straordinari…
“Musicisti con la M maiuscola che vivono la musica coi nervi scoperti. E non solo negli USA. Anche gli italiani che hanno suonato in questo disco hanno un grande spessore. Ho avuto la fortuna di incontrarli, conoscerli, suonarci insieme. Condividere con loro canzoni e la voglia di entrare l’uno nel mondo artistico dell’altro. La musica è un linguaggio universale, e per il periodo storico che viviamo a mio giudizio è uno dei modi più belli e sinceri per stare in questo mondo. Ci sono persone che fanno musica lontane dal rumore radiotelevisivo e si tendono la mano l’un l’altra per la voglia di condivisione e bellezza. Suonando insieme, che sia su un palco o davanti ai microfoni in un qualche studio per progetti comuni. Avere il contributo di questi musicisti, di queste anime grandi è un aiuto importante alle mie canzoni. Oltre a vivere con loro quell’amicizia particolare che solo la musica fa nascere tra le persone”.
Tra i produttori artistici de “Il grande temporale” figura Fabrizio Sisti. Dobbiamo a lui il tocco progressive dell’album?
“Assolutamente sì. Fabrizio “Prog” Sisti per l’appunto. I suoi interventi e la scelta dei suoni in alcune canzoni hanno deviato la produzione verso altri mondi rispetto il mio intendere “la canzone”. Merito suo e del suo gusto e del mio coraggio a lasciarlo entrare con certe sonorità. Ma il risultato mi è piaciuto. Credo che ogni cantautore dovrebbe farlo… lasciare il cancello aperto nelle proprie canzoni a musicisti diversi da sé per nuove intenzioni e sonorità. Insegnamenti Faberiani”.
La grafica dell’album è straordinariamente curata. Come è arrivato a Chiara Giannini Mannarà?
“Conosco Chiara da qualche anno. Avremmo dovuto lavorare insieme già in passato ad alcuni progetti ma tutto sfumò. Ma il suo tratto, il suo disegnare, in quell’occasione mi piacque molto, per questo ho pensato a lei per le illustrazioni di copertina. Le ho dato qualche dritta su quello che volevo e su quello che avevo in testa, il resto è tutto merito suo e del suo talento”.
I suoi lavori hanno sempre una grande presa sugli addetti ai lavori e sul pubblico. Cosa le manca, secondo lei, per la grande popolarità? E, soprattutto, le interessa?
“Non vorrei sembrare spocchioso o snob ma più invecchio meno mi interessa il successo. Mi avrebbe fatto comodo a venti o trent’anni. Oggi posso farne tranquillamente a meno. Quello che mi è sempre mancato è l’essere stato un buon rappresentante di me stesso, sono pessimo nelle pubbliche relazioni, apparire mi ha sempre spaventato e messo a disagio. Non sono molto bravo a stare dentro l’occhio di bue. Mi sono sempre dedicato maggiormente al suonare e allo scrivere. Alla fine sono un orso di provincia che ha come meta scrivere nuove canzoni. E in queste trovare un riparo sicuro”.
Painter loser è autobiografica?
“Assolutamente sì. Ho sempre fatto dell’altro oltre al musicista. Per lunghi periodi mi sono occupato solo di musica ma poi mi sono accorto di vivere in Italia. Fare dell’altro mi rende libero artisticamente. Sono un “Painter loser” e riguardo la canzone sono tutte cose vere. Conoscere persone nuove, attraversare la loro vita mentre gli cambio i colori alle pareti di casa è di grande ispirazione per me. E comunque sì… la figlia del notaio si è sposata e la ricordavo meno noiosa e pignola”.
Alcuni brani, anche nel minutaggio, risultano in controtendenza rispetto ai canoni della discografia attuale…
“Credo sia una forma di disobbedienza… di libertà. Spesso è la canzone che decide i tempi, e chi la scrive penso debba percorrere quel sentiero, castrarla nei tre minuti e trenta previsti dalla “regola” credo sia un insulto all’ascoltatore. Viviamo in un tempo dove c’è il bisogno di spingerci oltre, visto l’appiattimento generale. Anche nel minutaggio di una canzone se c’è bisogno. Chi è arrivato prima di me non doveva preoccuparsi di queste gabbie. Voglio pensare che sia ancora così per chi fa canzoni. Questo non riguarda solo la durata di una canzone ma anche gli argomenti trattati o il coraggio in un arrangiamento, oppure le variazioni armoniche e melodiche”.
Quanto si sente cambiato, nelle sonorità, rispetto agli esordi?
“Moltissimo. Un tempo gli arrangiamenti, i suoni, dovevano sostenere le mie canzoni che comunque già chitarra e voce avevano un loro equilibrio, una loro ossatura. Oggi mi piace sperimentare, cambiare direzione. Spogliare una canzone una volta scritta, rimettendola sul banco di lavoro anche se strutturalmente definita. Mi piace utilizzare accordature aperte, unire più generi in un solo brano come per esempio in “Tra il cielo e il prato”. Oppure scegliere musicisti diversi a seconda del brano per arrivare a quello che ho in testa””.
Se potesse “regalare” una sua canzone ad una interprete femminile…?
“Amo da sempre Mia Martini, ma purtroppo l’abbiamo perduta, e certamente avrebbe dovuto scegliere lei una mia canzone e non il contrario. Tra le non assenti invece ricordo MOMO che interpretò la mia “Compositore di canzoni” nel suo primo disco e sarei felice ne scegliesse un’altra per i suoi progetti futuri. Un’altra artista per la quale mi piacerebbe scrivere una canzone è Paola Turci. I suoi testi trasmettono un immediato senso di genuinità e immagino che il quotidiano sia una grande fonte di ispirazione per lei…”.
C’è anche qualche scrittore o poeta che la affascina e la influenza?
“Raccontare il quotidiano, fotografarlo con una canzone è sempre stata la mia passione, è un po’ il punto di partenza per mettermi davanti al foglio bianco e scrivere, raccontare una storia. A incontra B e succede C.
Certamente molti scrittori mi hanno influenzato (anche se sono un lettore molto lento e pigro). Luigi Pirandello mi ha ispirato moltissimo, così come Oscar Wilde e John Fante. Ma le mie influenze arrivano sempre dalla musica. Da ragazzo cominciai a leggere Flaubert e i classici grazie al disco Bovary di Francesco Guccini oppure De Cervantes grazie a Discanto di Fossati e potrei citarne tanti altri”.