“Il Festival dello Spettatore” 2020: Un’occasione per guardar(si), ascoltare, dialogare e interrogar(si), in tempo prima di una nuova chiusura (forzata) di sipario

di Maria Lucia Tangorra

Prendere parte a “Il Festival dello Spettatore” (svoltosi ad Arezzo dal 22 al 25 ottobre) è stato un grande dono, non solo per i singoli spettatori appunto, ma per l’incontro che si è potuto creare con gli altri. In più, viste le decisioni prese dal governo durante il weekend in cui si è svolto (chiusura di teatri, cinema e sale da musica) ha assunto un valore ancora più forte sia sul piano del confronto, che dell’esperienza spettatoriale condivisa, con la coscienza che sarebbe stata (almeno per ora) l’ultima volta. L’etimologia del termine ‘spettatore’ riportata da Treccani ci ricorda la derivazione latina: spectator -oris, der. di spectare «guardare». Nel corso dei decenni questa posizione sulla poltroncina di velluto rosso (prima più ‘passiva’) ha assunto un senso sempre più importante. Senza dubbio un passo essenziale lo ha compiuto la rivoluzione pirandelliana: il personaggio dell’autore siciliano, diversamente da quello tradizionale, il quale chiede allo spettatore di identificarsi in lui, di “commuoversi” con lui, apre un continuo, incessante dibattito, non solo con gli altri personaggi, ma idealmente con il pubblico, stimolandolo ad una riflessione critica, ad un consenso/dissenso sulle tesi che si dibattono attraverso l’azione scenica.

Gli stessi artisti si sono posti maggiori interrogativi nei confronti del pubblico e gli spettatori hanno cominciato ad esprimere anche le proprie suggestioni, magari post spettacolo fuori dal camerino, ancor più su blog e social e durante i gruppi di ‘spettatori erranti’ che si sono venuti a creare.

La manifestazione aveva già deciso, per l’edizione 2020, un taglio ben preciso in merito alla tematica di riflessione, non per stare meramente al passo coi tempi che stiamo vivendo, ma per immergersi e fare i conti con ‘lo spettatore digitale’. «Fin dai primi momenti del lockdown, il mondo dell’arte, dello spettacolo, della cultura, si sono adoperati a sperimentare modi alternativi per restare in contatto coi propri pubblici di riferimento, scoprendo che, proprio grazie all’utilizzo del mezzo digitale, si potevano raggiungere platee virtuali fino ad allora neanche immaginate. All’inizio si è trattato semplicemente di aprire i propri archivi, poi occasioni di incontro virtuale, dirette sui social, sperimentazioni di spettacoli creati con un pensiero teatrale, ma fruibili in forma digitale. È nato un nuovo linguaggio? Possiamo definirlo ‘Teatro digitale’?» (dalla nota ufficiale) e “Il Festival dello Spettatore” ha voluto occuparsi di questo, in particolare durante le giornate di studi, scegliendo di non dare una risposta, ma di sollecitare degli input e, come la chiusura di un cerchio, coerentemente con ciò che deve fare il teatro (non dare risposte, ma porre domande), ha rilanciato la palla a ciascuno dei partecipanti (sia coloro che erano lì presenti, sia chi ha potuto seguire alcuni eventi, in streaming, da casa).

La decisione di inaugurare il 22 ottobre con “The Right Way Volume II digital The Other Side”, creato e diretto da Daniele Bartolini, con Maddalena Vallecchi Williams, ha indicato subito la strada che si voleva percorrere e, ancor più in questo caso, ha messo in gioco lo spettatore. Dopo il debutto al 48° Festival Internazionale del Teatro de La Biennale Di Venezia, utilizzando «una forma ibrida di performance digitale e in presenza, l’indagine del mondo Nord Americano da parte di Bartolini, attraverso il suo vissuto personale di artista emigrato in Canada nel 2013. Tramite la sua forma teatrale audience specific, altamente partecipativa, un singolo spettatore alla volta, dotato per parte della performance di casco di realtà virtuale, si immerge in uno spaccato del mondo americano e parteciperà a una serie di interazioni che si interrogano sul ruolo dell’arte negli anni di ascesa del politically correct. VR + live – spettacolo per un solo spettatore» (dalla scheda). «Lo spettatore verrà invitato a prendere il mio posto a letto e ad ‘addormentarsi’ con quelli che spesso sono i pensieri, le visioni, le paure e le incertezze che mi appartengono. Le mie, quelle di uno scrittore/regista immigrato nel NUOVO mondo sempre NUOVO. Fatto accomodare in un letto e dotato di un VR headset, lasciato solo, una volta distesosi, lo spettatore ‘falls down the rabbit hole’. Questo stato di pre-sonno ha un ruolo chiave: questo è l’universo di cui lo spettatore fa esperienza, il momento nel quale ci si sta per addormentare e si pianifica la giornata successiva, il momento nel quale da artista si riesaminano le idee in quella fase semi-cosciente in cui i pensieri si fanno frammentati, dove le associazioni di pensiero si fanno fitte e veloci. Senza schierarsi e senza esprimere nessun giudizio, la proposta illustra soltanto il mio meccanismo mentale. Un coach metterà fine al riposo del protagonista/spettatore, lo riporterà alle sue responsabilità lavorative. C’è da lavorare adesso, da agire, da filmare… da battere il primo ciak. Lo spettatore/regista, attraverso la necessaria mediazione del coach, sarà costretto a dirigere due performer in una delicata scena. Filmeranno la scena? E come? Oppure decideranno di interrompere le riprese?». Queste note di Ballarini sono estremamente esemplificative di come chi accetta di aderire a questa proposta di spettacolo debba essere disposto a mettersi completamente in gioco [ovviamente bisognava prenotarsi in anticipo e gli orari sono stati richiesti fino alla tarda serata].

Foto1 “Il Mezzo”_Ph Mara Giammattei

“Il Mezzo” – credit foto Mara Giammattei

Uno degli aspetti interessanti di questo festival consiste nel tener conto anche dei più piccoli, oltre a dar voce agli artisti, agli studiosi, agli spettatori e agli addetti ai lavori. In questa prospettiva è stato inserito, ad esempio, “Il Mezzo” liberamente ispirato a “Il Visconte dimezzato” di Italo Calvino (in scena per le scuole secondarie la mattina, con una replica pomeridiana domenica 25 che ha incluso anche gli adulti), scritto e diretto da Savino Genovese, anche ‘in scena’ con Virne Beltramo. Il progetto, vincitore del bando BUGS – habitat digitali per il teatro ragazzi, si è assunto un “rischio”: dividere ogni cosa a metà «il teatro e il cinema. L’attore in carne ed ossa e lo stop motion. La scenografia teatrale e gli scenari in video. Ci siamo divisi i personaggi, i costumi, le voci, le espressioni, le parole. Questa divisione ci è servita e ci ha permesso di comprendere la bellezza dell’esperienza vissuta nella sua interezza. “Il Mezzo” racconta la storia di come il Visconte Medardo di Terralba, partito per andare in guerra contro i turchi, tornò dalla Boemia diviso in due metà, una buona e una cattiva, e di come la comunità di cui fa parte si relaziona con questa, più che eccezionale, particolarità. Un universo di personaggi che ci mostrano le infinite sfaccettature e sfumature di cui è fatto il genere umano» (dalle note della compagnia).

Foto2 “Il Mezzo”_Ph Mara Giammattei

“Il Mezzo” – credit foto Mara Giammattei

L’operazione in sé è stata interessante come esperimento, l’atteggiamento degli artisti è stato molto aperto al dialogo, come se fosse un work in progress per migliorare ulteriormente il ‘risultato finale’. Le parti in VR girate nel bosco e la scelta di sfruttare i diversi pannelli sul palco per provare a creare campi/controcampi, ma anche per ‘giocare’ con l’idea di sdoppiamento sono sicuramente più riuscite rispetto a quando lo spettatore si ritrova a girarsi anche di 90° in cerca dell’attore/personaggio. In sé sarebbe anche curioso e abbiamo rilevato le buone intenzioni, però, visto che si ha la percezione – pur essendo in platea – di essere sulle tavole del palcoscenico, avremmo sfruttato più quella dimensione, magari spingendo sulla suggestione del ‘to play’ portandoci lassù con loro e/o spingendo ancor più sulle potenzialità del linguaggio cinematografico unite a quello teatrale.

Presso il Teatro Pietro Aretino si è tenuto l’incontro con artisti e compagnie vincitori del progetto “Residenze Digitali” promosso da Centro di Residenza della Toscana Armunia – CapoTrave/Kilowatt, AMAT e Anghiari Dance Hub, del progetto “BUGS”, promosso da Officine della Cultura, Straligut, Kanterstrasse, Officine Papage, Pilar Ternera e del progetto “In-Box Digitale” promosso da Straligut. Hanno partecipato in presenza: Nicola Galli per Genoma scenico | dispositivo digitale, Simone Pacini per Isadora – the Tik Tok dance project, Savino Genovese e Viren Beltramo per Il Mezzo, Jacopo Bottani e Gilberto Innocenti per 54dur05; mentre in streaming Agrupación Señor Serrano per Prometheus, Enchiridion per Shakespeare Showdown / Romeo & Juliet, Filippo Rosati – Illoco Teatro per K.

Incontro post proiezione. In foto Franco Arminio_Ph Mara Giammattei

Incontro post proiezione. In foto Franco Arminio – credit Mara Giammattei

La prima giornata si è conclusa con la proiezione de: “Di mestiere faccio il paesologo” su Franco Arminio, con annesso dibattito con lo scrittore e col regista del documentario Andrea D’Ambrosio. L’opera è risultata perfettamente in linea con lo spirito e con gli interrogativi posti dalla kermesse, in quanto fa riflettere sulla capacità di osservazione – e anche di chiedere mettendo a proprio agio – del paesologo, oltre che di ascolto, cogliendo anche ciò che si sta perdendo. «Franco Arminio, poeta vero» – ha evidenziato Roberto Saviano – «ha indagato i paesi, laddove tutto vive come se dovesse ancora compiersi ed è già – invece – tutto compiuto». Gira nei paesi dell’Irpinia e della Lucania abbandonati e sperduti, quelli dove a vivere sono rimasti magari i più anziani, legati al territorio, perché la maggior parte delle giovani generazioni sono andate via a «cercare la vita».

Anna Maria Monteverdi_Ph Mara Giammattei

Anna Maria Monteverdi – credit foto Mara Giammattei

Venerdì 23 e sabato 24 ottobre sono state due giornate di grande full immersion nel tematizzare la questione dello spettatore digitale attraverso lo sguardo di esperti tecnici, artisti, operatori e pubblico. «Esiste il teatro digitale, o la stessa definizione è di per sé un ossimoro? Il mezzo digitale può essere uno strumento per esplorare nuove forme creative o per incontrare nuovi pubblici che poi possiamo rincontrare in sala?». I saluti e l’introduzione sono stati curati da Roberto Ferrari (Direttore Area Cultura e Ricerca Regione Toscana), Renzo Boldrini (Coordinatore RAT Residenze Artistiche Toscane) e Massimo Ferri (Presidente Rete Teatrale Aretina). Sono intervenuti Patrizia Coletta (Direttore Fondazione Toscana Spettacolo onlus) con la sua riflessione “Oltre il sipario. Opportunità o fragilità?”, Silvia Calamai – Rosalba Nodari sociolinguiste affiliate (Università degli Studi di Siena) con “Perché il teatro non dimentichi gli archivi sonori digitali”, Michele Trimarchi (docente di Economia della Cultura – Università di Bologna) con “Per un teatro cross-mediale: profili semantici, valori culturali, impatto economico”, Federica Patti (curatrice, artista digitale) con “La performatività posthuman. Una definizione transdisciplinare della live media performance” e Anna Maria Monteverdi (ricercatrice Discipline dello Spettacolo – Università Statale di Milano), la quale ha illustrato come “Leggere uno spettacolo multimediale” (titolo della sua ultima pubblicazione – Dino Audino editore). Tutte considerazioni che hanno fatto emergere quanto il tavolo sia aperto e come ogni punto di vista possa completare l’altro, anche confutandolo. Inoltre è stata evidente la lungimiranza della regione Toscana nell’aver messo a disposizione le risorse necessarie per residenze ad hoc legate ai nuovi linguaggi teatrali; tra le righe – e non solo – traspariva il desiderio di continuare a investire in questo settore.

Ci ha attratto particolarmente l’esposizione della Monteverdi in quanto ha aperto una finestra di approfondimento su un mondo meno frequentato (tanto più dal vivo) e che, probabilmente, assoceremmo meno – d’istinto – al teatro. «Fino a pochi anni fa i professionisti che operavano in questo campo venivano chiamati media designer, video designer. Recentemente la United Scenic Artists Local Usa ha proposto una nuova categoria, quella del projection designer o projection artist.

Foto1 da “Les Aiguilles et l'opium” di R. Lepage

Foto da “Les Aiguilles et l’opium” di R. Lepage

Il campo professionale e quello accademico ha riconosciuto quindi, un valore di ‘progettualità’ all’ambito della ‘proiezione dal vivo’ essendo ormai evidente che l’allestimento, la scelta della location, o dell’edificio dove proiettare (e non il semplice schermo) diventano parte di una ‘drammaturgia’ multimediale di cui la proiezione è l’elemento portante; si interviene sul corpo della facciata, contribuendo a definire l’immagine scenografica con prospettive annesse, a partire da un centro ottico e determinando di conseguenza, anche uno speciale rapporto tra osservatore e creazione artistica. Il mapping, attraverso la proiezione, assolve alla funzione che aveva l’arcoscenico alla fine del Quattrocento, agli albori della nascita del teatro moderno, cioè ‘la frontiera tra realtà e illusione’. D’altra parte è evidente che la dimensione illusionistica, la ricerca coinvolgente della finta profondità, tipica del video mapping rimanda proprio al teatro» ed è proprio questo link che ci ha colpito, rimanendoci impressi. È inevitabile pensare subito a un artista come Robert Lepage: «interamente in mapping sono le proiezioni della nuova versione de “Les aiguilles et l’opium” (2015): in un macchinario praticabile a forma di cubo con due lati aperti e in movimento gli attori si muovono come acrobati; le proiezioni seguono tale movimento ricreando ambientazioni diverse: la camera d’hotel, la sala di doppiaggio, il concert-hall.

Il video mapping è solo uno degli esempi (forse il più eclatante) di una vastissima produzione artistica piuttosto variegata e sempre in aumento che si è generata non soltanto dalla specificità del digitale (e dei software) ma da una caratteristica ben più evidente: la presenza della proiezione.

Le nuove tecnologie entrano nel mondo dell’arte urbana definendo nuove soluzioni artistiche, in cui l’interazione tra artista e superficie attraverso il software è il cuore dell’azione performativa, facendo evolvere sia la videoarte che la street art.

Se la scena teatrale offre ampi margini di sperimentazione ma con le limitazioni del quadro scenico, la strada, la piazza, i portici aprono a possibilità illimitate, leggere e brulicante di connessioni urbane. Negli spazi esterni giochi di luce, mapping e light projection danno vita a uno spettacolo che interagisce col pubblico fuori dai luoghi e dalle modalità convenzionali. Le proiezioni valorizzano i beni culturali dando vitalità a spazi comuni e sociali».

La seconda parte della giornata di studi ha visto come protagonisti: Laura Gemini (Prof.ssa associata in Sociologia dei processi culturali e comunicativi Università di Urbino Carlo Bo) con “La liveness (digitale) nel distanziamento sociale. Riflessioni e dati sullo spettatore dal vivo online”; Susan Broadhurst (Prof.ssa in Performance and Technology – Brunel University of London) “The Audience and Multi-modal approaches to Digital Performance Practice”; Francesco Marcantoni Esimple “Realtà aumentata e realtà virtuale come nuova forma di spettacolo”; Antonio Pizzo professore associato in discipline dello spettacolo (multimedialità e teatro) dell’Università di Torino con “Un nuovo patto spettatoriale: intermedialità, virtualità e immersione”. Leonardo Giusti (Design Lead – Google Inc.), il quale ha letteralmente illustrato e messo a confronto “Creazione artistica e intelligenza artificiale” facendo conoscere alla maggior parte di chi era lì e in streaming una direzione a cui magari non si pensa riflettendo sulla parola e sul mondo ‘teatro’; mentre Paolo Giulierini (Direttore Museo Archeologico Nazionale di Napoli) ha spiegato molto bene come riuscire ad attrarre nuovi pubblici verso i Beni Culturali attraverso la tecnologia.

Come chiosa non poteva mancare: “Spettatori La Gran Reunion#4”, appuntamento nazionale dei gruppi di spettatori in Italia per condividere motivazioni, desideri, visioni del pubblico a teatro.

Nel rispetto di tutti gli studiosi che hanno espresso, ci scusiamo se non abbiamo potuto sintetizzare il pensiero di ciascuno, ma ci siamo concentrati su quei momenti che pure soggettivamente ci hanno coinvolto maggiormente. Inoltre ci auguriamo che, com’è già avvenuto per le edizioni precedenti, venga realizzato un nuovo volume de “I quaderni del Festival dello Spettatore” (Morlacchi Editore).

Il pomeriggio del 23, prima di gustarsi uno spettacolo particolare (vi spieghiamo perché), ha visto anche la presentazione della piattaforma SONAR e dei nuovi servizi di streaming e live streaming rivolti alla comunità teatrale. In live streaming su piattaforma ilsonar.it il 22 e il 23, per la scuola primaria, è stato trasmesso “OZz” liberamente ispirato a “Il meraviglioso mago di Oz” di L. F. Baum (una produzione KanterStrasse / Straligut, con la collaborazione di Blanket Studio e con il sostegno di Regione Toscana e Publiacqua Spa), con Elisa Vitiello, Simone Martini e Alessio Martinoli, regia Simone Martini, Lorenzo Donnini. Si tratta del primo esperimento di teatro digitale della compagnia KanterStrasse. «Questa nostra versione digitale anticipa il debutto in teatro che avverrà nel 2021 e probabilmente ne influenzerà la realizzazione. Cosa è il teatro digitale? Questa è la domanda delle domande. La nostra risposta, per ora, è che non è teatro ma non è neanche cinema e che sicuramente non un è videogames. Quindi partiamo da quello che non è, ciò che sarà lo scopriremo solo facendolo», ha affermato la compagnia, anche un po’ provocatoriamente, ma nell’accezione più costruttiva del termine.

Foto1 Esercizi di Fantastica_Ph Mara Giammattei

Esercizi di Fantastica – credit foto Mara Giammattei

Per questa quinta edizione del “Festival dello spettatore” c’è stata una collaborazione con il Festival MENO ALTI DEI PINGUINI / Progetto5. Entrare nel Teatro Petrarca e assistere, con i più piccoli, all’incanto che sa creare la scatola magica ha avuto un altro sapore, merito anche di “Esercizi di fantastica” dell’Associazione Sosta Palmizi, che ha voluto omaggiare Gianni Rodari di cui ricorrono i Cento anni dalla nascita. Senza dubbio è una proposta molto adeguata per i bambini in quanto con il linguaggio della danza e del movimento, evocano il potere dell’immaginazione che trasforma cose e persone in qualcosa di sempre inaspettato e straordinario.
Locandina “Segnali d’allarme - La mia battaglia VR”

La ricca giornata del venerdì si è conclusa con una trasferta al Teatro Verdi di Monte San Savino per  la riproposizione in 3D dello spettacolo “Segnale d’allarme – La mia battaglia VR” di e con Elio Germano, al termine del quale si è creato un dibattito molto acceso tra la platea e gli artisti. «L’opera teatrale di Elio Germano e Chiara Lagani diventa un film in realtà virtuale, diretto da Elio Germano e Omar Rashid. “Segnale dallarme” è la trasposizione in realtà virtuale de “La mia Battaglia”, un’opera – portata in scena da Elio Germano stesso – che parla alla e della nostra epoca.

Il regista Omar Rashid - Incontro dopo “Segnale d’allarme - La mia battaglia in VR”_Ph Mara Giammattei

Il regista Omar Rashid, incontro dopo “Segnale d’allarme – La mia battaglia in VR” – credit foto Mara Giammattei

Lo spettatore viene portato a piccoli passi a confondere immaginario e reale, in questa prospettiva la possibilità offerta dalla realtà virtuale di entrare nella narrazione sembra essere perfettamente calzante. Attraverso e grazie alla VR siete portati ad immergervi nell’opera teatrale diventandone parte.

Vi troverete in sala insieme agli altri spettatori. Sentirete l’energia della stanza intorno a voi. Cercherete lo sguardo di chi vi è seduto accanto, perfino i gesti. Assisterete ad un monologo che sarà un crescendo e allo stesso tempo una caduta verso il grottesco. “Segnale d’Allarme” racconta una storia vera, la nostra» (dalle note della compagnia).

«È in questo contesto che Elio Germano utilizza e allo stesso tempo critica la modernità del linguaggio che ha scelto. La tecnologia più avanzata offre dunque uno spettacolo disturbante, pensato per scuotere e risvegliare le coscienze» (dalla nota ufficiale).

Senza ombra di dubbio è stata un’esperienza interessante da compiere e, anche se cercando in rete potrete scoprire cosa si rivela alla fine, noi scegliamo di non esplicitarlo, qualora decidiate di vedere il film in VR senza raccogliere troppe informazioni prima. Nell’ottica del festival e della riflessione sulla figura dello spettatore è stato molto interessante e coinvolgente il dibattito che si è venuto a creare dopo quest’esperienza (singola perché si è col proprio visore, ma collettiva perché si è in teatro), con un dibattito che ha assunto anche toni accesi – sempre nel rispetto – ed è stato un punto essenziale. Ci siamo trovati di fronte a «uno spettacolo provocatorio che ci mette in discussione come pubblico. Cosa stiamo vedendo? A cosa applaudiamo? Chi è il personaggio che abbiamo di fronte? Dove ci sta portando? Un esercizio di manipolazione dagli esiti imprevedibili» (Elio Germano). Usando le potenzialità della Virtual Reality viene messo in scena un esperimento nel quale Germano ipnotizza i suoi spettatori, quasi li manipola, con lo scopo di trasmettere quel segnale d’allarme da cui prende il nome lo spettacolo VR stesso.

Nel corso dell’incontro non si aveva timore di dire la propria, anzi, l’operazione proposta ha scatenato diversi punti di vista da parte della platea di turno, con alcuni che hanno espresso anche la preferenza per lo spettacolo dal vivo e confutato alcune decisioni. Riportiamo un intervento in tal senso di una spettatrice per restituirvi anche un po’ lo spirito che si è venuto a creare: «è la seconda volta che lo vedo in realtà virtuale e l’impressione è stata la stessa, se non ancor più amplificata. Mi ero detta: sarà più semplice, dato che so ciò che vado a vedere. È stato molto più forte per due ragioni: la prima parte risuona ancora di più tenendo conto del periodo che stiamo vivendo e poi, in entrambe le occasioni, è stata un’esperienza fortemente frustrante come spettatrice. La definisco castrante perché, quello che ogni volta mi manca, è la possibilità di esprimere la mia reazione sia verso ciò che sto guardando sia nella situazione teatrale. A pelle sento come si sta vivendo quella specifica rappresentazione e, come spettatore, ho la possibilità di esprimerlo sia con l’applauso finale o col silenzio, dandosi la gomitata col vicino; è quell’esperienza collettiva che con la realtà virtuale non c’è, per quanto si assista tutti insieme come in questo caso. Mi manca quel calore del pubblico, sicuramente è una sensazione soggettiva».

Questo slideshow richiede JavaScript.

Elio Germano – Incontro dopo la proiezione di “Segnale d’allarme – La mia battaglia in VR” – credit foto Mara Giammattei

Sarebbe interessante registrare le singole reazioni di ognuno di fronte a “Segnale d’allarme – La mia battaglia VR” (esperimento e provocazione); ma già la serata del 23 ottobre è stata ‘illuminante’ sotto diversi aspetti, a partire dalla capacità di mettere da parte il timore reverenziale di fronte a chi è sul palco ed esprimere le proprie emozioni anche se, forse, potrebbero ‘mettere in crisi’ o ‘colpire’ l’artista.

Ci avviamo alla conclusione di questo report sulla V edizione del “Festival dello Spettatore” raccontandovi di due lavori a cui abbiamo assistito domenica 25 ottobre: “Opera minima” presso il Teatro Pietro Aretino e, in serata, “Ballarini” presso il Teatro Petrarca.

Foto1 Opera Minima_Ph Mara Giammattei

Opera Minima – credit foto Mara Giammattei

Il primo della compagnia Can Bagnato – presentato sempre in collaborazione con il Festival MENO ALTI DEI PINGUINI / Progetto5 – ci ha fatto tornare un po’ bambini con alcune peculiarità da clownerie – degno di nota il lavoro scenografico e sulle luci (curato da Fabio Pecchioli). «Un’elegante signora (Valentina Musolino, che ha curato anche la regia) si annoia nella sua camera e, mentre il suo colf (Eugenio Di Vito, ideatore dello spettacolo) pulisce e ripulisce il mobilio, lei sogna di diventare una grande diva d’opera. Ma vivere nel mondo dei sogni ha i suoi rischi: l’immaginazione potrebbe diventare talmente reale da sfuggirci di mano. Ecco quindi che tutto si trasforma: la signora, il suo colf, l’intero mobilio e persino il pubblico!» (dalla sinossi).

Questo slideshow richiede JavaScript.

“Ballarini” – credit foto Mara Giammattei

La manifestazione teatrale ha avuto il suo degno epilogo con “Ballarini” di Sud Costa Occidentale (costituitasi nel 1999), con Sabino Civilleri e Manuela Lo Sicco, testo e regia di Emma Dante, appartenente alla “Trilogia degli occhiali”. «Tre spettacoli su tre temi di emarginazione: tre categorie che fanno fatica a trovare una connessione con questa società. I vecchi, i poveri e i malati. Mi sembrava giusto dedicargli un lavoro», ha dichiarato la stessa artista in “Intervista a Emma Dante” di Titti De Simone (Navarra Editore, 2010).

Tutti noi presenti ci siamo posti di fronte a questa visione con la consapevolezza che il Dpcm, presentato in conferenza stampa dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, era stato ormai varato per cui, dall’indomani, sarebbero stati chiusi teatri, cinema e sale da concerti. Ci si è ritrovati a commuoversi per la storia rappresentata (una coppia di anziani) con delicatezza e potenza, senza mai dimenticare momenti che strappassero il sorriso, adoperando anche la danza e il dialetto siciliano. I due interpreti-danzatori, in cui gesto e mimica sono fondamentali, ripercorrono la storia d’amore e passo dopo passo entrano sempre di più nel cuore del pubblico, che magari si ritrova a immedesimare o a sognare quel tipo di amore. Dopo quel volo di un’ora, dalle tavole del palcoscenico e viceversa, buio in sala e queste parole: «A nome nostro e di Emma Dante vi ringraziamo per la vostra resilienza e vi chiediamo di continuare a sperare con noi in un mondo migliore, un mondo in cui non venga più messa in discussione la chiusura di luoghi come questo, in cui siamo tutti riuniti stasera seguendo tutti i protocolli di sicurezza. Speriamo che luoghi come questi, un giorno, vengano considerati beni di prima necessità, luoghi in cui trovare conforto e in cui curare l’anima, luoghi in cui il contagio intellettuale è necessario per crescere umanamente e professionalmente, creando dibattiti e aprendo la mente ad altri possibili punti di vista. Crediamo ancora che i teatri siano la vostra e la nostra casa», ha detto con voce rotta dall’emozione Manuela Lo Sicco. Non possiamo che augurarci che tutto ciò che sta avvenendo passi presto, a partire dalla questione sanitaria, fino alla possibilità di risentirsi a casa nella ‘scatola magica’ e che sia il teatro a tornare a farci avere gli occhi lucidi per ciò che ci regala e non perché viene chiuso (in questa circostanza che stiamo attraversando, è stato detto che si è presa questa decisione per impedire la mobilità delle persone, non perché non fosse un luogo sicuro).

Rispondi