Un grande campione che non ha bisogno di presentazioni e che ha scritto pagine memorabili del ciclismo italiano. “Per non cadere – La mia vita in equilibrio” (Baldini+Castoldi) è il libro di Gianni Bugno, scritto con Tiziano Marino e la prefazione di Romano Prodi.
Milano-Sanremo, Giro d’Italia, indossando la maglia rosa dalla prima all’ultima tappa, Coppa del Mondo, due Mondiali consecutivi, due Alpe d’Huez, due podi al Tour de France, un Giro delle Fiandre: erano i primi anni Novanta e Gianni Bugno faceva sognare una Nazione intera. A trent’anni dai suoi più grandi successi si racconta nella sua prima autobiografia con quello stile umile e signorile che lo ha sempre caratterizzato.
Una persona di poche parole, divenuta suo malgrado mito, capace nonostante il carattere schivo di far innamorare migliaia di appassionati in tutto il mondo. Un viaggio in quello che è stato l’ultimo ciclismo prima dell’era moderna, prima degli scandali doping, senza radioline, misuratori di potenza o allenamenti computerizzati, raccontato da chi lo ha dominato. Gli scontri con altri giganti delle due ruote: da Kelly a LeMond, da Jalabert a Indurain fino alle guerre intestine con El Diablo Chiappucci. Un passato glorioso al quale Bugno guarda senza nostalgia. Appesa la bicicletta al chiodo, ha voltato pagina e si è messo a pilotare elicotteri. La bici però è rimasta nel suo cuore, per questo oggi è il presidente dell’Associazione mondiale dei corridori professionisti, capo-sindacalista di quella che è stata la sua prima vita.
Gianni, ci racconta com’è nata l’idea di scrivere con Tiziano Marino il libro “Per non cadere – La mia vita in equilibrio”?
“Lo scorso anno Tiziano è venuto da me e mi ha proposto di scrivere un libro, ci ho pensato qualche giorno e ho deciso di accettare. Siamo partiti dall’intervista principale da cui poi è nato “Per non cadere – La mia vita in equilibrio”. Avremmo voluto farlo uscire prima ma con la pandemia abbiamo dovuto aspettare qualche mese”.
Lei ha vinto tantissimo nella sua carriera ma racconta che non conserva nulla di quelle vittorie…
“E’ vero, non conservo nulla semplicemente perché non mi piace vivere di ricordi”.
C’è però un successo a cui è più legato?
“Non c’è una vittoria più bella delle altre, sono tutti momenti della vita per me importanti. Diventare un atleta vittorioso tra i professionisti deriva dal fatto che hai fatto la gavetta, quindi ogni successo è un mattone che metti sul tuo percorso per arrivare a un traguardo più grande”.
E’ stato il primo ciclista italiano nella storia ad aver vinto due Mondiali consecutivi, nel 1991 a Stoccarda e nel 1992 a Benidorm. In Spagna lei non arrivava con il favore dei pronostici quindi immagino sia stata una bella soddisfazione tagliare per primo il traguardo e vincere la scommessa fatta con Giacomo Carminati, l’autista del pullman della Nazionale azzurra…
“Era un risultato che in pochi speravano o pensavano potessi raggiungere in quanto arrivavo da un anno senza grandi vittorie. Tagliare il traguardo di Benidorm per primo e riconfermarmi campione del mondo è stato bellissimo e mi ha permesso di sbloccarmi mentalmente. Infatti subito dopo ho vinto sei corse di fila. Guidare poi il pullman per trecento chilometri, dopo aver vinto la scommessa con Giacomo Carminati, è stata una grande soddisfazione”.
In un altro passaggio del libro scrive: “Non ero uno specialista né delle corse a tappe né delle corse di un giorno. Non ero forte in salita, non ero forte in volata, non ero forte neppure a cronometro”. Però è stato un ciclista completo, mentre oggi i corridori sono per lo più degli specialisti…
“Ci sono ancora ciclisti che riescono ad entusiasmare tutto l’anno ed essere vittoriosi in determinati appuntamenti però la maggior parte sono specialisti e preparano soltanto alcune corse cercando di risparmiare le energie e presentarsi nelle migliori condizioni per provare a raggiungere i risultati prefissati. Nella mia carriera invece ho cercato di adattarmi, provando a fare del mio meglio nelle varie specialità. Non ho mai sopravvalutato né sottovalutato gli avversari, ho sempre fatto la mia corsa sapendo che non era vinta fino alla fine”.
Quanto le pressioni esterne della stampa e dell’opinione pubblica, alla luce anche della sua esperienza al Mondiale di Benidorm, possono incidere sulla performance di un corridore?
“Parecchio, però quando c’è la pressione bisogna cercare di liberarsene e pensare solo alla gara. L’unico modo per essere competitivo al momento giusto in una corsa che magari stai preparando da un anno è concentrarsi su se stessi e non su quello che gli altri si aspettano da te. L’importante è partire consapevoli di quello che si è fatto, di come ci si è preparati per l’appuntamento ed essere sicuri di potercela fare”.

Da bambino dopo aver visto passare il Giro d’Italia sotto la sua casa di Monza ha chiesto ai suoi genitori di poter avere una bicicletta per la promozione. Cosa l’ha così affascinata di questo sport?
“E’ una passione che è nata per caso guardando il Giro d’Italia che passava sotto casa mia. Non c’è nessuno infatti nella mia famiglia che andava in bici. Questo mezzo mi ha dato la possibilità di viaggiare senza dipendere da nessuno ed è stato importante perché mi ha fatto sentire libero e mi ha permesso di andare dove volevo”.
A proposito del Giro d’Italia 2021 nelle prime tre tappe la maglia rosa è stata indossata da Filippo Ganna. In vista dei Giochi di Tokyo 2021 quali pensa possano essere le prospettive per la Nazionale Italiana di ciclismo?
“Abbiamo un bravissimo Filippo Ganna che è in forma e che potrà portare una medaglia olimpica all’Italia. Per quanto riguarda le altre specialità ci sono atleti che possono fare bene e magari salire anche sul podio”.
E’ presidente dell’Associazione mondiale dei corridori professionisti. Quali sono i prossimi obiettivi?
“Stiamo lavorando in particolar modo sul tema della sicurezza stradale”.
A tal proposito nel libro scrive: “Sogno un mondo in cui la bici sia un mezzo da rispettare, in cui i ciclisti non debbano rischiare”. Cosa si può fare per migliorare la sicurezza stradale dato che purtroppo anche recentemente ci sono state diverse vittime?
“C’è tanto da fare. Purtroppo non c’è rispetto per i ciclisti. Siamo una civiltà costruita sulle automobili, sembra che senza di esse non possiamo andare da nessuna parte. Per le strade vediamo auto con a bordo una sola persona, non è il massimo in fatto di inquinamento e di occupazione del suolo pubblico. Potremmo invece usare la bici in alternativa per percorrere ad esempio brevi tratte. Poi c’è la questione relativa alle piste ciclabili che a volte diventano pericolose perché i pedoni le invadono. Infine secondo me è necessario introdurre l’educazione stradale nelle scuole per sensibilizzare su questo tema, partendo dai bambini e dai ragazzi”.
Quale consiglio si sentirebbe di dare a un giovane che vuole praticare il ciclismo?
“E’ uno sport che va fatto con voglia, desiderio e passione, quindi deve essere visto non come un sacrificio ma come un divertimento”.
Se dovesse pensare a un’immagine legata al Giro d’Italia, vissuto sia in sella alla bici sia alla guida dell’elicottero quando ha collaborato con la Rai per le riprese televisive, cosa le verrebbe in mente?
“Il pubblico, che oggi manca per i motivi che ben sappiamo legati alla pandemia, ma che è il corollario di uno sport stupendo. Mi ha sempre emozionato correre vedendo le strade piene di gente”.
Per concludere questa chiacchierata le chiedo un commento sull’Inter, la sua squadra del cuore, che ha conquistato lo scudetto rompendo l’egemonia della Juventus che durava da nove anni…
“Sono felice per questo scudetto. Speriamo di continuare su questa strada e di non dover aspettare così tanto tempo per conquistarne un altro”.
di Francesca Monti
Grazie a Giulia Civiletti e Tiziano Marino