Morire a soli venti anni non riuscendo più a sopportare il peso della discriminazione per il colore della pelle. Seid Visin era un ragazzo come tanti, che si divideva tra la famiglia, lo sport e il lavoro. Era nato in Etiopia, poi è stato adottato ed è arrivato in Italia a 7 anni, a Nocera Inferiore, dove si è tolto la vita. Aveva una grande passione, il calcio, e aveva giocato nelle giovanili di Inter e Milan, scegliendo poi di abbandonare il mondo profesionistico e di tornare a casa per stare vicino alla sua famiglia.
In una straziante lettera scritta da Seid qualche tempo fa ad alcuni amici e pubblicata su Facebook dal gruppo Mamme per la pelle, traspare tutto il dolore e le cattiverie gratuite che ha dovuto sopportare quotidianamente: “Ovunque io vada, ovunque io sia, sento sulle mie spalle come un macigno il peso degli sguardi scettici, prevenuti, schifati e impauriti delle persone. Ricordo che tutti mi amavano. Ovunque fossi, ovunque andassi, tutti si rivolgevano a me con gioia, rispetto e curiosità. Adesso sembra che si sia capovolto tutto. Ero riuscito a trovare un lavoro che ho dovuto lasciare perché troppe persone, specie anziane, si rifiutavano di farsi servire da me e, come se non mi sentissi già a disagio, mi additavano anche come responsabile perché molti giovani italiani (bianchi) non trovassero lavoro”, racconta il giovane.
“Era come se nella mia testa si fossero creati degli automatismi inconsci e per mezzo dei quali apparivo in pubblico, nella società diverso da quel che sono realmente; come se mi vergognassi di essere nero, come se avessi paura di essere scambiato per un immigrato, come se dovessi dimostrare alle persone, che non mi conoscevano, che ero come loro, che ero italiano, che ero bianco. Il che, quando stavo con i miei amici, mi portava a fare battute di pessimo gusto sui neri e sugli immigrati, addirittura con un’aria troneggiante affermavo che ero razzista verso i neri, come a voler affermare, come a voler sottolineare che io non ero uno di quelli, che io non ero un immigrato. L’unica cosa di troneggiante però, l’unica cosa comprensibile nel mio modo di fare era la paura”, prosegue Said. “Il disagio e la sofferenza che sto vivendo io sono una goccia d’acqua in confronto all’oceano di sofferenza che sta vivendo chi preferisce morire anziché condurre un’esistenza nella miseria e nell’inferno. Quelle persone che rischiano la vita, e tanti l’hanno già persa, solo per annusare, per assaggiare il sapore di quella che noi chiamiamo semplicemente “Vita””.
Le parole di Said Visin e la sua drammatica scelta di togliersi la vita dovrebbero farci riflettere su quanto sia malata la nostra società, in cui “l’altro” viene sempre visto con accezione negativa, additato come “diverso” e quindi da deridere e da discriminare, in cui spregevoli parole come “razzismo”, “bullismo”, “pregiudizio” sono all’ordine del giorno. Nel 2021 invece bisognerebbe avere una maggiore apertura mentale e cancellare definitivamente certe ideologie malate, perché siamo tutti uguali indipendentemente dalla razza, dal colore della pelle, dall’orientamento sessuale, dalla corporatura fisica. Siamo tutti esseri umani.