Intervista con Katia Serra: “Il ricordo più bello degli Europei è l’affetto che ho ricevuto da tantissime persone, un’emozione che nessuno potrà mai togliermi”

Professionalità, competenza, determinazione e una grande passione per il calcio: Katia Serra è stata la prima donna a rivestire il ruolo di commentatrice tecnica in una finale della Nazionale, quella che ha visto trionfare agli Europei l’Italia del ct Mancini battendo ai rigori l’Inghilterra nella magica e storica notte di Wembley.

Un passato da centrocampista, con esordio nel 1986 in Serie B con il Bologna, uno scudetto con il Modena, tre Coppe Italia, tre Supercoppe italiane e una Italy Women’s Cup, dopo il ritiro dal calcio giocato è diventata commentatrice per la Rai, con una parentesi a Sky, e consigliera della Figc femminile.

In questa intervista che ci ha gentilmente concesso abbiamo parlato con Katia Serra degli Europei ma anche dei ricordi del suo debutto con la maglia azzurra, del movimento calcistico femminile in Italia e del corso da lei tenuto all’Università San Raffaele di Roma.

Katia, ci racconta le emozioni che ha provato quando ha saputo che sarebbe stata la commentatrice tecnica della finale degli Europei?

“Quando mi è stata comunicata la notizia c’è stata un’esplosione di felicità con un urlo di gioia condiviso con il mio compagno e con mio fratello con i quali ero al telefono poiché erano le uniche persone che avevo preavvisato di questa possibilità ed erano quindi in attesa di una chiamata. Subito dopo ho ultimato i preparativi perché dopo il preavviso del venerdì sera, l’ufficialità è arrivata alle 10,45 del sabato mattina e avevamo un volo da prendere alle 13. Mentre viaggiavo c’è stata anche la realizzazione di un certo imbarazzo nei confronti della coppia Alberto Rimedio e Antonio Di Gennaro che Stefano Bizzotto ed io andavamo a sostituire. Metto sempre il rispetto al primo posto, quindi se da un lato ero felicissima dall’altro il primo pensiero è stato per loro. All’inizio ero un po’ in difficoltà, così li ho sentiti telefonicamente e loro mi sono stati vicino e hanno apprezzato il mio gesto. Poi mi sono messa a studiare e sono stata in contatto costante con la Rai per espletare le pratiche burocratiche”.

Come ha vissuto invece la partita Italia-Inghilterra?

“Ho seguito e commentato l’intera partita in piedi, sia per avere una visuale migliore e senza ostacoli, in quanto la nostra postazione era lontana, in quarta fila, ed essendoci il plexiglass c’era la sovrapposizione dei colleghi che stavano davanti, sia perché avendo giocato tanti anni a calcio e disputato anche delle finali mi sono molto immedesimata nei calciatori che scendevano in campo e stare in piedi era un po’ come giocare insieme agli azzurri. Era secondo me il modo migliore per accompagnare la visione di una partita così speciale”.

La notizia che sarebbe stata la prima donna a fare la commentatrice tecnica di una finale della Nazionale maschile agli Europei ha suscitato clamore. Questo l’ha stupita positivamente o le ha dato anche un po’ fastidio?

“Il giornalista è Stefano Bizzotto, io sono la commentatrice tecnica, ex calciatrice che ha competenza e ha studiato facendo i corsi tecnici a Coverciano come allenatrice e match analist. Sono due ruoli differenti che formano poi il racconto della partita. Ci sono molte giornaliste brave e preparate, alcune hanno fatto anche una telecronaca non di una finale ma di diverse partite, la commentatrice tecnica invece deve spiegare quello che accade sul campo ed è una novità, è qualcosa di ancora più difficile e forte per il fortino del calcio maschile. Premesso questo non mi sono stupita del clamore che ha avuto la notizia, vista l’importanza del match con l’Italia in finale e la possibilità di vincere nuovamente la Coppa a 53 anni di distanza dall’unico successo. Le mie prime volte come commentatrice della Tim Cup, della Lega Pro, della Serie B e delle nazionali maschili giovanili fino all’Under 20 non avevano avuto lo stesso risalto perché l’importanza era differente ed io ero all’inizio del mio percorso. Per gli addetti non ero un nome a sorpresa, chi invece non mi conosceva poteva pensare che fossi un nome pescato a caso. In realtà sono dieci anni che faccio questo mestiere alternando calcio maschile e femminile in Rai, con una parentesi a Sky. Essere la prima commentatrice donna di una finale degli Europei maschili onestamente è stato anche stimolante e mi piacerebbe che diventasse la normalità e quindi non facesse più così clamore. Quando accadrà vorrà dire che saremo in tante e avremo quei ruoli grazie alle nostre capacità e non solamente perché ci sono delle quote rosa da coprire. Sono una donna impegnata sotto questo aspetto ma sono per la meritocrazia, è chiaro che anche nel mondo del calcio a volte abbiamo dovuto inserire le quote rosa perché altrimenti non si sarebbero create nemmeno le opportunità”.

Con Stefano Bizzotto c’è un feeling lavorativo che traspariva guardando i match…

“Con Stefano avevamo lavorato insieme in occasione di tre partite all’Europeo Under 21 maschile del 2017 gestite da tubo, senza essere allo stadio, poi non c’erano state altre occasioni. Lui è un grande professionista, entrambi conosciamo il mestiere e abbiamo esperienza, quindi siamo subito riusciti a ritrovare il feeling per questo Europeo”.

C’è un giocatore della Nazionale in particolare che l’ha maggiormente stupita per tecnica e performance in questi Europei?

“Ragionando da allenatrice che sa quanto sia importante il gruppo e il fatto che si debba remare tutti dalla stessa parte altrimenti non si ottengono risultati non mi ha stupito nessuno in particolare perché conoscevo tutti gli azzurri molto bene, ma ho apprezzato quanto in un solo anno di Juventus Federico Chiesa sia maturato fino a disputare un Europeo da protagonista. E’ un giocatore di talento che ha tutte le qualità per diventare uno dei più forti al mondo. Bisogna lasciarlo tranquillo affinché possa continuare questo percorso di crescita”.

Oltre al gruppo compatto quale pensa sia stato il segreto che ha portato la Nazionale a compiere questo cammino trionfale, nonostante all’inizio dell’Europeo e anche prima della finale non fosse data come favorita?

“Il segreto sicuramente è stato Mancini sia per le idee che è riuscito ad infondere ai giocatori, quindi un calcio di qualità che chiedeva di stare alti in campo, di mantenere un ritmo elevato, di insistere sulla tecnica e il palleggio, sia per la gestione della comunicazione, perché è sempre stato positivo, ha trasmesso calma, serenità, tranquillità sia nelle dichiarazioni pre e post gara con i media sia nelle partite. Il suo modo di guidare la Nazionale ha dato sicurezza agli azzurri, e questo, te lo dico da ex giocatrice, è molto importante. Ha trasferito ottimismo match dopo match puntando sempre in alto, senza accontentarsi di quanto era appena stato fatto”.

Katia Serra a Budapest

Ha commentato altre partite degli Europei, a Monaco, Budapest e Bucarest. Che atmosfera ha trovato in queste città e quali sono state le difficoltà maggiori incontrate?

“Innanzitutto c’erano i tamponi da fare, le restrizioni da rispettare, ogni Paese aveva sia le limitazioni legate al protocollo Uefa sia quelle locali. Sono stati necessari spirito di adattamento ed elasticità. Mi era già capitato in altre vesti di andare agli Europei e mi è dispiaciuto non vivere quell’atmosfera magica che si respira durante questa competizione. Ad esempio ho trovato la fanzone solo a Budapest, mentre a Monaco e a Bucarest non c’era. Parlando con altri addetti ai lavori abbiamo fatto lo stesso ragionamento: se sei in città ma non sai che c’è l’Europeo nemmeno te ne accorgi se non quando c’è la partita allo stadio. Sono venute meno quelle note di costume che ruotano attorno a un evento così importante. Solitamente incontri a qualsiasi ora del giorno e della notte tifosi vestiti con i colori del proprio Paese e personaggi anche divertenti, questa volta è stato diverso. A parte queste mancanze mi sono sentita privilegiata perché in un momento come questo ho avuto la possibilità di lavorare e di essere allo stadio, dove l’accesso era consentito a un numero limitato di persone. Per cui le due note negative sono state ricompensate dal privilegio di essere presente ad un Europeo così particolare”.

Quanta preparazione c’è dietro ad ogni partita che commenta?

“Paradossalmente ho avuto meno tempo del solito per preparare la finale perché i tempi sono stati strettissimi. Dietro ad ogni commento tecnico c’è un grande lavoro perché sono una che guarda molto i video sia delle squadre per studiarne lo stile di gioco sia dei singoli giocatori per capire le caratteristiche tecnico-tattiche. Oltre a questo leggo le statistiche, i report, c’è una preparazione molto approfondita. Secondo me se conosci bene prima chi hai davanti hai la possibilità di comprendere maggiormente quello che succede sul campo e raccontarlo meglio. Questo vale per tutte le partite, non solo per la finale”.

Qual è il ricordo più bello che porterà nel cuore di questi Europei?

“Ce ne sono tanti. Sono nel mondo del calcio dal 1986 e ho sempre sperato di trasformare la mia grandissima passione in un lavoro. Ho ricoperto diversi ruoli, quindi sapevo di conoscere tante persone, avendo viaggiato molto e vissuto in diverse città, ma non immaginavo di ricevere tanto affetto. I riconoscimenti che sono arrivati sono andati ampiamente oltre quello che potessi immaginare, e questo è avvenuto prima della finale. E’ impagabile ed è un’emozione che nessuno potrà mai togliermi, è il frutto di quello che ho lasciato di me stessa in tutti questi anni in chi ho conosciuto o in chi mi ha scoperto in queste settimane. L’aspetto umano è qualcosa che mi caratterizza e a cui do importanza anche nella professione”.

Katia Serra con la maglia della Nazionale

Passando alla sua carriera da calciatrice che ricordi ha del suo esordio con la maglia della Nazionale e della vittoria dello scudetto con il Modena?

“Ricordo che sul pullman mentre andavamo allo stadio cantavo l’inno di Mameli insieme ad una mia compagna di squadra per non correre il rischio di sbagliare perché con il canto sono negata sia nell’intonazione sia nel ricordare le parole e i ritornelli. Ci tenevo tremendamente a vivere con senso di responsabilità quel momento e a fare una bella figura. Quando è stato eseguito l’inno prima del match d’esordio con la Nazionale mi sono scese due lacrime di commozione perché ho provato un’emozione molto forte.

Per quanto riguarda il tricolore con il Modena siccome ero una ragazzina ipercinetica che correva sempre ed ero così anche in campo per stemperare la tensione pre-partita nell’avvicinamento allo stadio, in quanto vincemmo lo scudetto dopo lo spareggio, sul pullman ci siamo messe a ballare. Era un modo per scaricare l’adrenalina che accompagna momenti così importanti ed è un metodo che ho adottato anche successivamente”.

Cosa manca affinché il calcio femminile faccia un ulteriore passo in avanti in Italia e vengano finalmente abbattuti quei pregiudizi che ancora esistono?

“La battaglia sui pregiudizi è innanzitutto culturale, richiede tanto tempo e la presenza di esempi positivi nella professionalità e nei valori dello sport dove etica e competenza devono essere al primo posto. Questo è indispensabile per cambiare una cultura che deve fare ancora passi in avanti. Il calcio femminile oggi ha intrapreso la direzione giusta e il passaggio tra un anno al professionismo sarà fondamentale, ma ha bisogno al contempo di restare se stesso dal punto di vista dei valori che lo hanno caratterizzato fino ad oggi. Quando si guarda una partita di calcio femminile bisogna apprezzare le specificità che le calciatrici mettono sul campo e smetterla di fare paragoni. Il calcio è uno solo, donne, uomini e bambini giocano ognuno con le loro caratteristiche”.

Tra poche settimane prenderanno il via la Serie A maschile con nuovi tecnici sulle panchine di quasi tutte le big e quella femminile con la Juventus che arriva da quattro scudetti consecutivi. Quale pensa saranno le prospettive per questa stagione?

“Per quanto riguarda la Serie A maschile auspico che sia un campionato equilibrato dove le squadre provino a giocare bene al calcio, prendendosi il rischio di concedere qualcosa all’avversario. Mi auguro di assistere a partite divertenti, votate all’attacco e in questo credo che la responsabilità più grande sarà degli allenatori nel provare a infondere questo stile di gioco. Di conseguenza i tifosi dovranno essere i primi ad apprezzare anche una sconfitta con la squadra che ha giocato bene perché se si giudica solo in base al risultato gli allenatori non potranno mai avere la forza di proporre un calcio offensivo.

A livello femminile è cresciuta la concorrenza anche se la Juventus resta comunque la favorita. Sarà un campionato tosto perché con il passaggio al professionismo e l’abbassamento a dieci squadre sarà complicatissimo salvarsi. Spero che si mettano in luce tante giovani perché tra un anno c’è l’Europeo in Inghilterra e al di là che abbiamo una buona Nazionale è fondamentale avere a disposizione anche nuovi talenti. Prendiamo ad esempio Pessina e Locatelli che non erano titolari e se gli Europei si fossero disputati nel 2020 non avrebbero fatto parte della Nazionale e invece sono stati protagonisti. Spero che emergano giocatrici che possano fare il loro stesso percorso”.

Quali sono i suoi prossimi progetti?

“Al di là dei vecchi progetti come insegnare all’università, al momento non ho nessuna certezza. Il mercato televisivo è appena iniziato e si ultimerà con l’inizio del campionato”.

A proposito all’Università San Raffaele di Roma insegna Modelli di gestione del calcio femminile. Ci racconta di cosa si tratta?

“E’ l’unico esempio italiano di insegnamento a livello accademico di calcio femminile e praticamente è un corso didattico ampio che spazia dalla storia di questo sport alle specificità della prestazione della calciatrice, al percorso di emancipazione in quanto donna con paragoni con altre nazioni, alle progettualità che si sono susseguite negli anni per arrivare dove siamo oggi, alle normative e a quello che un dirigente deve sapere quando va a ricoprire quel ruolo in una squadra. Mentre Coverciano ha un percorso formativo-tecnico, questo forma i dirigenti del domani. E’ un progetto che è stato ideato quando Damiano Tommasi era Presidente dell’Assocalciatori, insieme all’Università San Raffaele, ed è pensato per permettere agli sportivi di alto livello di fare la dual career, cioè portare avanti università e carriera, cosa molto complicata con i corsi tradizionali che richiedono l’obbligo di frequenza. E’ partito cinque anni fa quando sul calcio femminile si sapeva ben poco e mi hanno affidato la cattedra. Anche quando giocavo per me è sempre stato importante vedere crescere questo sport e creare quelle opportunità che la mia generazione non ha ricevuto”.

Katia Serra con la Puffetta Calciatrice portafortuna

Un’ultima curiosità: c’è una storia dietro alla Puffetta Calciatrice, il portafortuna che aveva con sé nella finale degli Europei?

“E’ un portafortuna che ho da quando giocavo a calcio e si metteva un ciondolo per diversificare la borsa da quella delle altre compagne. E’ un simbolo per me, mi rivedo in questa Puffetta perché ho sempre desiderato essere una calciatrice ma quando ho iniziato nel 1986 sognare qualcosa che all’epoca non esisteva era come essere dei “matti”. Per alcuni anni non l’ho avuta con me perché durante una trasferta aerea avevano rubato i ciondoli dalle borse, poi finalmente sono riuscita a ritrovarla sul mercato e da quel momento è sempre rimasta nella mia casa. All’Europeo non l’avevo portata ma per la finale ho pensato a un portafortuna, così l’ho messa nello zainetto ed mi ha fatto compagnia per tutta la partita”.

di Francesca Monti

credit foto Facebook Katia Serra

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