Intervista con Marta Zoffoli, in scena al Manzoni di Roma con “Tempo al tempo”: “Mi auguro che ci si affezioni ancora di più al teatro e all’idea di stare insieme, condividendo le esperienze”

Attrice di elevata bravura, ironica, elegante, solare, con una grande grinta e un entusiasmo irresistibile: Marta Zoffoli è in scena al Teatro Manzoni di Roma fino al 23 gennaio con lo spettacolo tutto al femminile “Tempo al Tempo”, per la regia di Paola Tiziana Cruciani, in cui è protagonista insieme ad Alessandra Costanzo, Beatrice Fazi, Antonella Laganà.

La commedia si apre con l’incontro di due amiche in partenza per il weekend. Lungo il tragitto in auto si perdono e trovano ospitalità in uno strano casale abitato da due donne così vintage che sembrano provenire dal passato. In realtà è proprio così! Incredibilmente, forse a causa di un ponte nello spazio temporale, nel rifugio le amiche si ritrovano nel pieno dei rivoluzionari anni Settanta. Epoca di grandi battaglie sociali, tra idee di libertà, creatività, innovazioni. Un salto indietro nel passato con l’inevitabile e divertentissimo incontro-scontro tra le quattro protagoniste e le due epoche.

In questa piacevole chiacchierata abbiamo parlato con Marta Zoffoli dello spettacolo “Tempo al Tempo”, dei ricordi legati al set di “Tre Fratelli” e a Lina Wertmüller che le ha insegnato a non omologarsi ai canoni di bellezza estetici ma ad essere se stessa, dei prossimi progetti e dei personaggi da lei interpretati nelle serie tv a cui è più legata.

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Marta, è in scena al Teatro Manzoni di Roma con lo spettacolo “Tempo al Tempo”, cosa può raccontarci riguardo Wanda, il suo personaggio?

“Amo tanto il mio personaggio. Paola Tiziana Cruciani ha scritto il testo con Antonella Laganà e hanno avuto l’intuizione di mettere insieme quattro donne con storie diverse e importanti, ambientate in due epoche differenti, dando la possibilità di toccare tanti temi, a sfondo femminile ma non solo. Paola ha chiesto a ognuna di noi di colorire ciascun personaggio con il proprio vissuto per rendere vere queste quattro donne e allora mi sono divertita ad attingere dalle mie radici e origini. Dato che la mia famiglia è romagnola interpreto Wanda, che andava in colonia a Riccione e aveva il babbo che lavorava con Wanda Osiris, quindi mi muovo tra colori, sapori, odori, un dialetto che sono quelli della mia infanzia. Quando un attore ha la possibilità di avere un gancio personale recitare diventa ancora più bello. Per quanto riguarda le altre tre protagoniste Alessandra Costanzo dà il volto ad una donna di Catania, Antonella Laganà ad una classica borghese romana, mentre il personaggio interpretato da Beatrice Fazi è di Salerno. Il testo è ricco e molto veloce, ci sono tanti cambi e risate, ha questi ritmi quasi da sitcom e scorre leggero ma nella leggerezza ti rendi conto che sono presenti anche delle riflessioni profonde su dove siamo andati a finire con questo viaggio partito dagli anni Settanta con il femminismo”.

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“Tempo al Tempo” – credit foto Emanuele Gambino

Di quel periodo, gli anni Settanta, cosa manca secondo lei oggi?

“Negli anni Settanta c’erano due fazioni opposte, le donne e gli uomini, ora c’è molta più confusione nella società, anche nell’identità di genere. Un tempo c’era questa sensazione di crescita e di poter indirizzare le lotte verso degli obiettivi, ora ci sentiamo tutti singoli, per questo sono convinta che la tematica femminile sia importante, non solo nella lotta per avere finalmente una parità di diritti, ma anche per recuperare l’identità di un gruppo. Dobbiamo cercare di stare unite ma di coinvolgere anche gli uomini nelle nostre battaglie, sostenendo pure le loro. Non so se è un caso o il periodo storico ma ultimamente mi sta capitando spesso di fare lavori su queste tematiche. Nel 2016 ad esempio ho recitato nel film di Petra Volpe che ha girato il mondo, ha vinto premi, e raccontava la storia di quattro donne degli anni Settanta”.

Si riferisce al film “Contro l’ordine divino” che ha riscosso un grande successo, anche a livello internazionale. Che esperienza è stata?

“E’ stata una bella esperienza, anche perché amo molto lavorare nei progetti internazionali in quanto puoi aprirti a dinamiche e modalità diverse. Eravamo tutte donne, anche la costumista, la produttrice, la direttrice della fotografia e si sentiva molto l’idea di fare un film al femminile. Attraverso questo mestiere non solo facciamo intrattenimento ma cerchiamo di veicolare dei messaggi e come attrice mi sento orgogliosa quando questo accade. Doveva essere un piccolo film svizzero scritto da una giovane regista con quattro interpreti poco conosciute e invece ha fatto breccia nel cuore dei critici, degli intellettuali ed è un po’ quello che sta succedendo con “Tempo al Tempo”, scritto da Paola Tiziana Cruciani e Antonella Laganà, a cui abbiamo collaborato anche noi attrici. Quando arriva il giorno del debutto hai tra le mani questo gioiellino e ti chiedi se piacerà e nel momento in cui vedi che il pubblico, fuori dal teatro, ha voglia di parlare dei temi dello spettacolo è una grande soddisfazione”.

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“Tempo al Tempo” – credit foto Emanuele Gambino

Che emozione ha provato tornando a teatro?

“Non pensavo che il ritorno a teatro ci regalasse un’emozione così forte. Prima di questa ripresa al Manzoni abbiamo messo in scena “Tempo al Tempo” per tre settimane al Teatro Sette di Roma a dicembre, era il primo spettacolo della stagione e alla fine facevamo due chiacchiere con il pubblico e si sentiva una partecipazione diversa rispetto a prima. Mi sono resa conto che la gente va a teatro con una consapevolezza differente, sapendo che è importante e tutto assume un carattere più lirico e sacro. Ci commuovevamo vedendo la sala piena perché è un segnale fortissimo. Mi dispiace che ora con l’aumento dei casi e con le informazioni che spesso si leggono e si sentono in tv la gente sia spaventata. Non è facile decidere di andare a teatro in una situazione come quella che stiamo vivendo ma i nostri “partigiani” resistono. La paura era che le persone decidessero di togliere dalla propria vita questo tipo di svago, invece non vogliono rinunciarci e questo significa che abbiamo bisogno della socialità e di condividere esperienze. Ha un grande valore adesso tornare a teatro”.

E’ anche la risposta a chi non ritiene essenziale la cultura…

“Esatto. Chi pensa che la cultura, il teatro, il cinema, le arti non siano fondamentali dovrebbe farsi un giro nelle sale e si renderebbe conto che ci sono persone di tutte le età, dai giovani agli ultra ottantenni”.

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“Tempo al Tempo” – foto di Alberta Rossi

Porterete “Tempo al Tempo” in giro per l’Italia nei prossimi mesi?

“Il momento storico è molto difficile perché quello che viene a mancare per il teatro è la possibilità di fare progettazione. Per due anni abbiamo visto saltare anche a pochi giorni dal debutto gli spettacoli e ora si naviga a vista. “Tempo al tempo” dopo il Teatro Sette non aveva altre repliche in programma, poi invece ci hanno chiamato al Teatro Manzoni per sostituire un’altra pièce. La logica vorrebbe che ci fosse una ripresa ancora a Roma e una tournée in Italia la prossima stagione, se ne parla ma si fatica a fissare le date quando non c’è la garanzia di avere le persone disponibili”.

In quali progetti sarà prossimamente impegnata?

“Ho preso parte a un film che si chiama “Il cacio con le pere”, è l’opera prima dell’attore Luca Calvani che ha deciso di mettersi alla prova anche come regista e ha scritto una commedia deliziosa, girata a cavallo tra il 2019 e il 2020 e poi rimasta bloccata tra i vari lockdown. Uscirà nei cinema a breve. Sono tra i protagonisti accanto ad Anna Safroncik, Alessandra Costanzo, Elena Di Cioccio e allo stesso Luca Calvani”.

Ha recitato anche nel film “Umami – Il quinto sapore”…

“E’ una bella commedia con la regia di Angelo Frezza, che sta trovando la sua strada in una distribuzione non canonica, anche con singole proiezioni nelle città e utilizzando i canali web, in quanto stanno saltando tutti i parametri. Ho la sensazione che il mondo dell’intrattenimento si stia trasformando poiché temo si dovrà convivere con queste problematiche legate alla pandemia ancora per un po’ di tempo”.

Nel 1981, esattamente quaranta anni fa, ha recitato nel film “Tre fratelli” di Francesco Rosi, che è stato poi presentato al Festival di Cannes. Che ricordo conserva di quel periodo?

“Quando si è piccoli certe esperienze si cristallizzano. Ho ricordi fortissimi di quando eravamo sul set perché Francesco Rosi era una presenza importante, un gigante buono, carismatico, aveva un’energia coinvolgente e con me era molto affettuoso, ero la mascotte del gruppo. E poi i posti meravigliosi, come la masseria in cui abbiamo girato “Tre Fratelli” che dovrebbe diventare patrimonio dell’Unesco per la sua bellezza, il contatto con la vita contadina, con l’anziano nonno, c’era qualcosa anche in questo film che mi riportava alle mie origini. Quindi c’è stato il salto pazzesco di trovarsi a Cannes con i red carpet, i fotografi che mi chiamavano come se fossi una star hollywoodiana, le interviste sulle terrazze degli hotel più prestigiosi, Jack Nicholson che viene a conoscermi e mi fa i complimenti, cose che raccontate oggi sembrano fantascienza. Questo film è rimasto scolpito indelebilmente nel mio cuore ed è stato l’inizio di tutto, anche perché su quel set mi sono trovata a lavorare con una serie di persone che poi ho incontrato di nuovo nell’arco della mia vita, alcuni sono stati miei docenti al Centro Sperimentale, con altri ho lavorato in diversi set. “Tre Fratelli” è stata la mia pietra miliare”.

A proposito del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, la direttrice era la grande Lina Wertmüller. Qual è l’insegnamento più importante che le ha trasmesso?

“Era una donna che incuteva un po’ di timore a noi allievi, quando veniva in classe c’era tanto rispetto, aveva questi occhi che sembravano trapassarti anche da lontano, era molto seria, energica, esigente. Ricordo uno dei suoi primi discorsi che mi è rimasto impresso in cui ci disse di cercare di non omologarci ai canoni di bellezza estetici, di non modificare le sopracciglia, di non toglierle e di non eliminare neanche i “baffetti”, perché i registi e i costumisti hanno bisogno di avere tra le mani persone vere. Tu pensa a queste cose nel cinema che vediamo oggi, con donne truccate e rifatte. Lina non avrebbe mai preso attrici così. Anche in “Tempo al Tempo” affrontiamo questo tema, infatti c’è una battuta in cui si dice “sono donne mascherate da femmine”, nel senso che il trucco o la chirurgia sono una sorta di maschera per coprirsi e non per tirare fuori la femminilità che è invece legata all’autenticità, al piacere del proprio corpo. Mi sembra un bel messaggio per ricordare Lina che ci ha spinto ad essere quello che siamo”.

Ha frequentato anche l’Accademia Nazionale di Danza a Roma, questa arte è ancora presente nella sua vita?

“Mi ha accompagnato per molto tempo. Danzavo già a 6-7 anni facendo i balletti e le imitazioni, avevo imparato tutti i video di Michael Jackson e l’ho praticata fino ai 20-22 anni. Ora ovviamente non studio più ma la danza è presente nella mia vita, innanzitutto perché il mio compagno, con cui avevo frequentato il liceo in Accademia, è stato un’étoile e respiro in casa quotidianamente questa arte, e poi perché mi ha lasciato un po’ di dolori. Questo va detto alle mamme che portano le bimbe a fare danza… E’ un’arte meravigliosa che richiede un lavoro pazzesco sul proprio corpo per cui gli atleti e i ballerini con il passare dell’età sentono qualche acciacco… (ride). Ironia a parte è una formazione che ti dà consapevolezza del corpo e possibilità espressiva, un bagaglio che mi è utile anche in scena”.

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Marta Zoffoli in “Squadra Antimafia” – credit foto profilo Facebook Marta Zoffoli

Tra i tanti personaggi che ha interpretato nelle serie tv ce n’è uno che le è rimasto nel cuore?

“Le mie due preferite sono due. Emma, la psicologa de “I Cesaroni” in quanto mi sono divertita da matti a interpretarla, era il mio primo ruolo da protagonista di serie e sentivo questa bella responsabilità. Ed era simile a me, in quanto il regista Vicario mi disse di mettere qualcosa di Marta nel personaggio. Io a volte sono un po’ pasticciona e maldestra e ho trasferito queste caratteristiche ad Emma, a cui sono molto affezionata. Una menzione va poi al giudice Ada Ferretti di “Squadra Antimafia”, non mi piace come persona, in quanto era una donna fuori di testa, che ha fatto delle cose che non farei mai, ha detto bugie, ha mollato in giro una figlia, ma è stato divertente rivestire questo ruolo che mi ha permesso di imbracciare un kalashnikov, scappare in elicottero, venire torturata in una cella. Quando mi ricapita? (sorride)”.

C’è invece un ruolo in particolare che vorrebbe interpretare in futuro?

“Dal punto di vista della mia carriera mi ritengo molto soddisfatta in quanto dopo il diploma al Centro Sperimentale dicevo sempre che mi sarebbe piaciuto lavorare con Woody Allen che era il mio mito, interpretare una poliziotta per fare scene di azione, inseguimenti, sparare, e poi recitare in una bella commedia francese a teatro. Si è realizzato tutto. Ho preso parte a “To Rome with love” di Woody Allen, alle serie “Squadra Mobile” e “Squadra Antimafia”, e ho portato a teatro due commedie francesi, “Un’ora di tranquillità” con Massimo Ghini e “Maschio crudele” dove ho conosciuto Paola Tiziana Cruciani nel 2012. Ora mi piacerebbe interpretare un bel personaggio classico sempre a teatro, e non escludo di fare anche una regia”.

Cosa si augura per il 2022?

“E’ iniziato con notizie non belle, vista la scomparsa di Renato Scarpa il 30 dicembre, una perdita grandissima, era un attore di una delicatezza e potenza straordinarie, poteva sembrare un po’ marginale ma in realtà ha punteggiato la storia del cinema con personaggi che resteranno indelebili. Per il 2022 mi auguro che ci si affezioni ancora di più al teatro e all’idea di stare insieme, che si possa uscire da questo isolamento mentale, in quanto abbiamo bisogno di vivere in comunità, non di restare chiusi in casa”.

di Francesca Monti

credit foto posato profilo Facebook Marta Zoffoli

Grazie a Giorgia Fortunato e Federica Rinaudo

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