Michele Maccagno, attore poliedrico e di elevata bravura, è nel cast del film di Fabio Resinaro “Ero in guerra ma non lo sapevo”, nei cinema dal 24 gennaio, tratto dall’omonimo romanzo di Alberto Torregiani, che racconta la sua vita dal momento in cui suo padre, il gioielliere Pierluigi Torregiani nel 1979 è rimasto coinvolto in uno scontro a fuoco con alcuni rapinatori entrati nel suo negozio.
Dopo una laurea in Architettura conseguita al Politecnico di Milano, Michele Maccagno si è diplomato come attore alla Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi di Milano. Con Luca Ronconi
è cresciuto al Piccolo Teatro di Milano, interpretando ruoli di spicco nei lavori del maestro. Sotto la guida di Gigi Dall’Aglio ha recitato il celebre monologo sdisOre’ di G. Testori, ottenendo candidature a vari premi nazionali.
Il pluripremiato regista catalano Alex Rìgola lo ha scelto per il ruolo di Cassio nel riallestimento del celebre Giulio Cesare al fianco di Michele Riondino e per il famoso Zio Vanja di A. Cechov nei panni del protagonista Zio Vanja nel 2019 e sempre nello stesso anno è Fausto Coppi nell’”Affollata solitudine del campione “ di G.L. Favetto per il Teatro Stabile di Torino.
Ha preso parte a diverse serie televisive come Non uccidere, Rex V, La certosa di Parma, A un passo dal cielo, Cinderella, Ho sposato uno sbirro 2 e Giustizia per Tutti al fianco di Raoul Bova.
credit foto Matteo Malavasi
Michele, è nel cast del film “Ero in guerra ma non lo sapevo” di Fabio Resinaro. Può raccontarci qualcosa in più sul personaggio da lei interpretato?
“Avevo fatto il provino a marzo 2020, qualche giorno prima del lockdown e abbiamo girato a luglio a Roma. Innanzitutto mi ha fatto piacere che il film raccontasse un fatto accaduto a Milano e che venisse usato uno slang milanese, anche con qualche battuta in dialetto, che sentivo parlare dai miei genitori quando ero piccolo. Io sono piemontese ma quei modi di dire fanno parte della mia vita e della mia giovinezza e mi hanno permesso di avvicinarmi al personaggio. Interpreto un allenatore di calcio della squadra in cui gioca il figlio di Torregiani, che è un medio talento. Il padre vuole dare al mister delle mazzette affinché faccia fare al ragazzo un provino al Milan e a un certo punto il mio personaggio accetta perché negli anni Settanta il calcio di provincia non aveva molti finanziamenti e la squadra aveva bisogno di soldi. Mi sono trovato molto bene sul set con Francesco Montanari, a cui faccio i complimenti perché è stato bravissimo, e con Laura Chiatti”.
Il film è tratto dal romanzo di Alberto Torregiani, aveva avuto modo di leggerlo e cosa l’ha più colpita di questa storia?
“Non avevo letto il romanzo, quando è successo il fatto ero un bambino, così ho chiesto a mia mamma ma non ricordava molto di quanto accaduto. Mi ha colpito questa lotta tra la classe borghese che in quegli anni voleva emergere, ed è l’antesignana della middle class di oggi, e quella proletaria. Io sono figlio di un mobiliere di Tortona, mio padre aveva questo grosso mobilificio e non so perché ma in quegli anni, sentendo alla radio e alla tv le notizie dei rapimenti e delle rapine, provavo delle sensazioni di inquietudine. Questo film cupo, nero, restituisce molto bene quei sentimenti, in quanto c’è molta tensione sia nella famiglia che nella storia”.
Quanto secondo lei è importante far conoscere queste storie attraverso il cinema?
“Credo sia importantissimo ricordare quanto accaduto. Nel film non viene solo raccontato un fatto di cronaca ma che cosa ci ha lasciato e insegnato, ed è dal mio punto di vista il ruolo che dovrebbe avere il cinema, cioè portare lo spettatore ad una riflessione”.
Che ricordo ha del set della soap “Vivere”?
“Ero uscito da pochissimo dall’Accademia Paolo Grassi, ho fatto questo provino per la soap “Vivere” insieme a tanti altri attori e sono stato preso. Ricordo la sensazione di totale libertà che ho provato la prima volta che mi sono trovato sul set, davanti alla troupe, mi sembrava tutto più facile e rilassato rispetto al teatro dove serve tanto duro lavoro per conquistare quella libertà. Successivamente ho recitato in “Un Passo dal cielo”, “Ho sposato uno sbirro” e altre serie ed è stato diverso, avevo una maggiore esperienza e avevo al mio fianco attori conosciuti come ad esempio Terence Hill. Però è rimasta questa naturalezza, questo piacere nel raccontare delle storie reali”.
Si è laureato in Architettura, com’è scoccata la passione per la recitazione?
“Dopo il liceo sono partito da Tortona alla volta di Milano dove mio fratello studiava architettura, non sapevo quale corso frequentare all’università e alla fine ho scelto la sua stessa facoltà, avendo mio padre un’attività nel settore dell’arredamento. Abitavamo insieme in un monolocale in Corso Lodi e per strada ho incontrato un tizio che appendeva dei volantini per un corso di recitazione. Era notte e parlando con lui mi disse che il mercoledì successivo avrebbe tenuto una lezione di teatro da mezzanotte alle 9 del mattino, se mi interessasse nel caso di portare la tuta da ginnastica. Mi colpì il fatto che questo corso si svolgesse di notte, così ho deciso di partecipare. Sono tornato a casa alle 9,30 del giorno successivo e ho detto a mio fratello: “faccio l’attore”. Mi sono divertito, sono stato bene, sono stato fulminato da quel mestiere. Forse quella passione era dentro di me da tempo e aveva solo bisogno di esplodere”.

Michele Maccagno con Luca Ronconi nelle prove de L’Odissea
A teatro ha interpretato tanti personaggi differenti, da Riccardo II a Tiresia, passando per Solomon, Zio Vanja, Fausto Coppi. Ce n’è uno a cui è più legato?
“Sicuramente Zio Vanja in “Vanja” diretto da Alex Rigola, che è un maestro della scena internazionale. Nello spettacolo utilizzava una scatola di legno dove potevano starci 72 persone più noi attori che recitavamo a un palmo di mano dagli spettatori, seguendo una decina di regole che il regista ci aveva dato e che erano difficili da mettere in pratica. Abbiamo fatto cinquanta repliche e la sfida maggiore era essere credibili per far sì che il personaggio non fosse tale ma che fosse l’attore a parlare della sua stessa vita. Alex Rigola voleva unire la storia teatrale a storie reali. E’ stata un’impresa riuscita e ha cambiato radicalmente il mio punto di vista sulla recitazione. Ricordo anche il primo personaggio che ho fatto con Ronconi, era un testo molto complicato e il regista mi stette accanto correggendo ogni virgola. Ho imparato tantissimo”.
credit foto Serena Pea
Tra i suoi prossimi progetti c’è lo spettacolo “The Jokerman” di cui cura anche la regia…
“The Jokerman è nato dalla mia volontà. Avevo fatto un monologo su un testo di Giovanni Testori, e volevo trovare un argomento che tutti conoscono, quindi ho pensato a un mito contemporaneo come Joker. Questo è accaduto prima dell’uscita del film di Todd Phillips che ha poi vinto l’Oscar, ma quando hai un’idea non è facile trovare le produzioni. Poi ho incontrato il produttore Francesco Asselta che sta facendo un buon lavoro ed Elsinor Teatro ha deciso con coraggio di produrlo. Il testo mi piace e a giugno vedrà la luce. Ho preso parte anche a due serie tv. La prima, un bellissimo prodotto, andrà in onda prossimamente su Canale 5 con Raoul Bova e si chiama “Giustizia per tutti”, la seconda, che ho girato la scorsa estate, arriverà sulle piattaforme ed è destinata sia al mercato italiano che a quello internazionale e spero abbia un buon riscontro. Infine ho altri progetti teatrali”.
di Francesca Monti
credit foto copertina Dirk Vogel
Grazie a Giuseppe Zaccaria