VENEZIA79 – Intervista con Pino Calabrese, che riceverà il “Cultured Focus Lifetime Achievement Award”: “Ho sempre cercato di impostare il mio lavoro aggiungendo qualcosa di personale“

“La prima volta al Lido è stata nel 1983 quando portai con il regista Valerio Zecca il film “Chi mi aiuta?” e partecipammo alla sezione allora chiamata De Sica che era dedicata alle opere prime. Fu una grande emozione”. Un premio alla carriera per celebrare cinquanta anni di un brillante e variegato percorso artistico tra teatro, cinema e televisione. Pino Calabrese riceverà il “Cultured Focus Lifetime Achievement Award”, il riconoscimento che ogni anno Cultured Focus Magazine di New York e il Diversity in Film Symposium attribuiscono a personalità del mondo del cinema e della cultura internazionale.

La cerimonia di premiazione si terrà durante la 79. Mostra del Cinema di Venezia il prossimo 5 settembre all’Hotel Danieli alle ore 15.00, seguita dal panel “Diversity in Film”.

Pino Calabrese ha iniziato la sua carriera nel 1972, lavorando prima in teatro con Massimo Troisi, Gigi Proietti, Enrico Montesano, Pippo Delbono, passando dal cabaret al teatro drammatico, dal musical alla commedia, fino alle produzioni teatrali a sfondo sociale e politico.

Nel cinema ha esordito nel 1983 con Valerio Zecca, recitando in film diretti da Pappi Corsicato, Roberto Faenza, Daniele Vicari, Giuseppe Tornatore, Pupi Avati, Mario Martone, Paolo Sorrentino, Goran Paskalyevic, Alicia Scherson, Bruno Saglia.

Per la tv Calabrese ha partecipato a numerose produzioni come RIS – Delitti imperfetti, Incantesimo, Un medico in famiglia, Gente di mare, Distretto di polizia e I bastardi di Pizzofalcone.  Da diversi anni si dedica al teatro civile, mettendo in scena “L’ombra di Aldo Moro” e “Tortora, una storia semplice”, spettacoli in forma di lettura di Patrizio J. Macci. Per la sua interpretazione nel film Respiri è stato premiato al Sorrento Film Festival 2019.

Pino Calabrese

Pino, verrà insignito del prestigioso riconoscimento internazionale “Cultured Focus Lifetime Achievement Award”. Cosa rappresenta per lei?

“Rappresenta il coronamento ufficiale dei miei cinquanta anni di carriera. Un premio abbastanza inatteso, sono rimasto sorpreso ma contento perchè arriva dagli Stati Uniti, da Cultured Focus Magazine di New York e dal Diversity in Film Symposium, quindi mi fa doppiamente piacere”.

Nel corso della sua carriera ha preso parte varie volte alla Mostra del Cinema di Venezia, qual è il ricordo più bello legato al Lido?

“Quella che mi è rimasta più impressa è stata la prima volta al Lido, nel 1983 quando portai con il regista Valerio Zecca il film “Chi mi aiuta?” e partecipammo alla sezione allora chiamata De Sica che era dedicata alle opere prime. Fu un passo fondamentale e significativo per la mia carriera. Ricordo che proiettarono il film a mezzanotte, ero seduto in poltrona e c’era tanta emozione. Poi sono tornato al Lido altre volte, ad esempio con “La seconda notte di nozze” di Pupi Avati”.

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Recentemente l’abbiamo vista al cinema con i film “Respiri” e “Il diritto alla felicità”. Che esperienze sono state?

“Respiri è stato un punto di arrivo per me, essendo coprotagonista con Alessio Boni che in quel momento era tra i primi tre attori in Italia ed è stato un bello sforzo produttivo a cui ho partecipato come produttore esecutivo, per cui è stato un passo importante. Avevo un ruolo ambiguo per certi versi e mi ha dato tante soddisfazioni.

“Il diritto alla felicità” è stato una mezza scommessa. Claudio Rossi Massimi mi ha chiamato per interpretare Saputo, questo professore acculturato, ormai anziano, autore di un libro che non riesce più a trovare. E’ stato un divertimento e una bella esperienza lavorare per la prima volta con Remo Girone, con cui sono amico da tempo”.

Nella sua biografia racconta che da piccolo voleva fare il venditore di palloncini o il cartolaio. Com’è nata la passione per la recitazione?

“E’ scattata inaspettatamente quando mia sorella, che è più grande di me, e il suo fidanzato pensarono di riorganizzare un circolo ricreativo facendolo diventare una sorta di associazione culturale. Un giorno decisero di mettere in scena un dramma, Morti senza tomba di Jean Paul Sartre, che racconta la storia di un gruppo di partigiani durante l’assedio di Vichy per mano delle truppe naziste, e serviva un attore quindicenne che interpretasse il ruolo del fratello della protagonista. Il circolo però era frequentato da persone più grandi e io ero l’unico che poteva interpretarlo. Andò abbastanza bene perchè c’erano delle signore di una certa età in sala e le vedevo piangere alla mia morte in quanto il personaggio veniva strangolato. Il fatto che stessero piangendo significava che l’operazione era riuscita. E da allora c’è stata la voglia di divertirsi ancora e continuare a recitare”.

C’è un lavoro in particolare tra quelli da lei fatti che meglio rappresenta questi cinquanta anni di carriera?

“Ce ne sono tanti. Il primo che mi viene in mente è “Diaz – Non pulire questo sangue” di Daniele Vicari, è stata un’esperienza travolgente. Durante la lavorazione sul set sembrava di rivivere quell’atmosfera, quel periodo, quelle torture. Ho sempre cercato di impostare il mio lavoro e la mia carriera aggiungendo qualcosa di mio, di personale, sia a teatro, che al cinema o in tv. Non posso poi non citare “Incantesimo” in cui ho avuto la possibilità di essere diretto da Ruggero Deodato, e lo spettacolo teatrale “Dear Albert”, incentrato sulla vita di Einstein, con un testo di Alan Alda, la regia di Mario Sesti, in cui ero in scena con Pippo Delbono”.

Sta portando in giro per l’Italia due importanti spettacoli, “L’ombra di Aldo Moro” e “Tortora, una storia semplice”. Quanto oggi il teatro può ancora avere una funzione civile e sociale?

“Ho deciso di portare in scena il teatro civile con “L’ombra di Aldo Moro” che è un excursus politico fino alla strage di Via Fani vista dagli occhi del suo caposcorta Oreste Leonardi, e “Tortora, una storia semplice” sulla drammatica vicenda giudiziaria di Enzo Tortora. Per certi versi oggi il teatro può avere una funzione sociale anche più del cinema, perchè la platea ha l’attore a cinque metri di distanza dal palco, e senti il calore, l’atmosfera, c’è un altro mood. Il cinema ha un codice e una chiave di lettura differenti e funziona in modo diverso ma entrambe le arti hanno un significato fondamentale. Speriamo che dopo questi due anni complicati ci sia un’effettiva ripresa”.

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credit foto pagina Facebook Pino Calabrese

Nella sua carriera ha lavorato con tanti celebri personaggi, da Massimo Troisi a Gigi Proietti. C’è un incontro che ha lasciato maggiormente il segno?

“Ce ne sono stati tanti. Con Massimo Troisi ho avuto un rapporto di odio-amore come si ha con un fratello. Abbiamo calcato le prime assi del palcoscenico insieme perchè eravamo nella stessa classe a scuola e trascorrevamo fianco a fianco le giornate e le serate e a volte anche le notti quando facevamo delle scorribande. All’epoca era lo stesso genio artistico che è stato poi durante la sua carriera. Con Massimo è stato un bellissimo incontro ma mi piace citare anche quello con Peppuccio Tornatore con cui ho lavorato in due film, “La sconosciuta” e “L’uomo delle stelle”. E’ una persona molto attenta soprattutto agli attori ed è quello che a noi interessa, stabilire un rapporto che faccia emergere all’interno del lavoro tutto quello che non riusciamo ad evidenziare e che sul set siamo invece in grado di riproporre. Sono necessari registi come lui, come Pupi Avati, che sono dei maestri di recitazione e hanno un approccio significativo con l’attore, che si sente libero di potersi esprimere al meglio”.

In quali progetti sarà prossimamente impegnato?

“Parteciperò ad una produzione internazionale australiana e poi continuerò a portare in giro per l’Italia “L’ombra di Aldo Moro” e “Tortora, una storia semplice””.

C’è un ruolo che ancora non ha interpretato e che le piacerebbe fare?

“L’angelo. Ad una certa età posso permettermi di tutto. Mi viene in mente “Il cielo sopra Berlino”, un film che ho adorato. Mi piacerebbe farne un remake italiano o internazionale”.

di Francesca Monti

Grazie a Cristina Scognamillo

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