Intervista con Sal Da Vinci: “Credo che la felicità sia un attimo sfuggente”

“L’amore a cui non credi” è il nuovo singolo di Sal Da Vinci, composto insieme a Maurizio Fabrizio e Katia Astarita, scritto da Vincenzo Incenzo. Una canzone che racconta come spesso ci troviamo impreparati all’appuntamento con la felicità e di quanto invece sia importante avere il coraggio di donarsi interamente, in amore e nella musica.

Nel videoclip del brano dal sapore marcatamente cinematografico, diretto da Mauro Russo, la protagonista si abbandona alla musica, ride, litiga, balla ed incarna la complessità delle scelte che si fanno in certi momenti della vita. Un’atmosfera poetica che rivela il lato più intimista e vulnerabile dell’animo umano.

“L’amore a cui non credi” segue la pubblicazione di “Il cielo blu di Napoli”, “So’ Pazz E Te” con Vale Lambo e “Viento” che saranno inseriti nell’album che Sal sta realizzando in studio, in uscita a settembre.

Il poliedrico artista, cantante e autore è anche al timone di “Koprifuoco 2.1”, il travolgente programma in prima serata su Canale 21 che ha riscosso un grande apprezzamento in termini di critica e share.

In questa piacevole chiacchierata abbiamo parlato con Sal Da Vinci del nuovo singolo ma anche del suo debutto nella musica con il padre Mario, dei ricordi legati a Maradona e all’esibizione a Loreto davanti a Santo Giovanni Paolo II e dei prossimi progetti.

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Sal, è uscito il tuo nuovo singolo “L’amore a cui non credi”. Cosa puoi raccontarci a riguardo?

“L’amore a cui non credi farà parte di un progetto discografico che uscirà alle porte dell’autunno, un viaggio che ho scritto insieme ai miei collaboratori storici, e arriverà a quattro anni e mezzo dal precedente disco di inediti. Con questo brano volevo mandare un messaggio a tutti noi che spesso ci troviamo impreparati all’appuntamento con la felicità e abbiamo il timore di non meritarla o abbiamo paura di darci più del dovuto. Spesso mettiamo una barriera tra noi e gli altri ma l’amore supera qualsiasi cosa”.

Cosa rappresenta per te la felicità?

“Sono quegli attimi che spesso ci capitano ma non sappiamo godere perchè pensiamo che tutto sia dovuto. La felicità risiede nelle cose semplici, a volte si trasmette attraverso un gesto o la tua anima che è propositiva e altruista, altre attraverso l’abbraccio di un amico, il sorriso di un bambino, di un figlio o quando le persone sono serene e portano serenità a chi le circonda. C’è una contentezza che confondiamo con la felicità che invece per me è sinonimo di amore che a volte fa anche soffrire, che porta malinconia, tristezza. La felicità si manifesta spesso nell’amore vero, puro, disinteressato, senza presupposti o convenienza. L’amore può essere raccontato in mille sfumature, non esiste solo quello tra un uomo e una donna anche se siamo predisposti a narrare quelle storie che fotografiamo e che ci girano intorno nel quotidiano. La felicità credo sia un attimo sfuggente”.

Cosa ci racconti invece riguardo al videoclip dal sapore cinematografico che accompagna il brano?

“E’ diretto da Mauro Russo che è un grandissimo talento. Volevamo un video con un girato cinematografico. Ho avuto tante esperienze come attore nei film e sono affascinato dalle inquadrature della macchina da presa. Mi piace raccontare anche in modo metaforico gli aspetti emotivi degli esseri umani e credo che il cinema ti permetta di fare tutto questo”.

Parlando di cinema tra i film a cui hai preso parte c’è “Troppo forte” con Carlo Verdone e il grande Alberto Sordi. Che ricordo conservi di quel set?

“Un ricordo molto tenero, a distanza di tanti anni ho un bellissimo rapporto con Carlo Verdone, siamo rimasti in contatto, segue quello che faccio, spesso mi dà consigli. E’ stata un’esperienza indelebile perché ho avuto la possibilità di recitare con Alberto Sordi e l’onore di essere diretto nella prima parte del film da un maestro immenso quale Sergio Leone. Lavorare con Carlo è stato formidabile, ai tempi ero giovanissimo. “Troppo forte” è diventato un film cult che spesso viene trasmesso in tv e fa buoni ascolti”.

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Facendo ancora un salto indietro nel tempo fino al 1976, anno del tuo debutto nella musica con la canzone Miracolo ‘e Natale insieme a tuo papà Mario, cosa ti viene in mente?

“Penso che sia passato veramente tanto tempo. Ricordo molti passaggi, ero un bambino e sono sempre stato affascinato dal palco perché mio padre, essendo un cantante di tradizione napoletana, faceva dei tour nei teatri storici della sceneggiata a Napoli, dove si sono esibiti i più grandi artisti. Ho avuto l’onore, il piacere di conoscere questi mostri sacri e ho imparato tantissimo. Mia madre portava me e i miei fratelli nel fine settimana a vedere papà, io avevo quattro anni e mezzo e al termine dello spettacolo il gestore del teatro fermava la compagnia e mi faceva esibire con loro, ripetendo le stesse cose che faceva papà che ebbe la lungimiranza di coinvolgere alcuni autori che lavoravano con lui per raccontare una storia che è un po’ quella di mio fratello che è ipovedente e scelsero me per quel ruolo. Da quel momento non sono più sceso dal palco. Ho avuto momenti difficili perché quando sei un bambino prodigio non ti rendi conto di tante cose, giravamo l’Italia con questo spettacolo accolti dalla folla, vedevo la mia foto sui giornali e poi da adolescente è tutto sfumato in una bolla di sapone perché finito quell’effetto sono iniziati i dolori. Per fortuna ho avuto una famiglia che mi ha sempre sostenuto e poi ho iniziato a scrivere canzoni per gli altri, c’è stato un ritorno al cinema nel 1986 con Verdone in “Troppo forte” dopo aver fatto varie pellicole da piccolo con papà, quindi ho scoperto di avere la voce e ho iniziato a cantare i miei brani. Ho fatto un percorso di grande gavetta, ho faticato tanto e oggi godo di quella bellezza e ho grande rispetto per il pubblico ma anche per me stesso perchè attraverso le collaborazioni che ho fatto in questi anni sento questa voglia che mi accompagna così forte e asfissiante, nel senso positivo del termine. Io non so stare senza il palco, senza cantare, senza un abbraccio, senza guardare in faccia il pubblico a teatro. Non riesco a fare un altro lavoro. Ho un ristorantino, sto lì a fare compagnia, mi diverto a mangiare, ma non posso nemmeno pensare di staccarmi dalla musica. Mi piace scrivere anche per gli altri, fare colonne sonore, è quello che so fare, per me resta il mestiere più bello del mondo”.

C’è un artista in particolare con cui ti piacerebbe collaborare?

“Ce ne sono tanti, mi piacerebbe collaborare con Tiziano Ferro, Eros Ramazzotti, Laura Pausini, Marco Mengoni, perchè hanno un tipo di canto all’italiana, vorrei duettare con Giorgia che può cantare qualunque cosa perché ha una capacità vocale e un controllo pazzesco oltre ad un bellissimo cuore. Per quanto riguarda la nuova generazione apprezzo Emma Marrone, Geolier, Sfera Ebbasta, Luchè, Guè Pequeno, ma mi piacerebbe anche lavorare con artisti che hanno portato l’Italia nel mondo come I Ricchi e Poveri, Toto Cutugno, Riccardo Fogli, Al Bano. Adoro Renato Zero, al di là del fatto che ci ho lavorato e mi ha regalato la sua arte, per me lui è un quadro di Raffaello, come lo è stato Lucio Dalla, come lo è Claudio Baglioni, che nonostante siano passati tanti anni quando si siede al pianoforte incanta il pubblico. Sono artisti iconici che hanno venduto milioni di dischi e che hanno un esercito di fan”.

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Hai dedicato alla tua città il singolo “Il cielo blu di Napoli” uscito lo scorso dicembre mentre nel 2004 avevi cantato “Napule” con Gigi D’Alessio, Lucio Dalla e Gigi Finizio…

“E c’è anche un brano che si chiama “Nanà” con il testo scritto da Renato Zero e la musica composta da me e Maurizio Fabrizio, una poesia d’amore bellissima dedicata alla mia città. “Il cielo blu di Napoli” invece racconta una sfaccettatura dell’amore con questo cielo che ci sembra più blu e a cui spesso rivolgiamo gli occhi in questo periodo così delicato per l’umanità”.

Se dovessi definire Napoli con poche parole quali sceglieresti?

“Napoli è una famiglia, mi ha donato più di quello che le ho dato, sono rimasto a vivere lì perchè non volevo assolutamente rompere questo sentimento viscerale che mi è stato donato negli anni. Sono nato artisticamente nella mia città e il pubblico mi ha sempre sostenuto con grande affetto e vicinanza. Siamo cresciuti insieme e oggi i nonni come me portano i loro nipoti e figli ai miei spettacoli. Napoli è una città sospesa tra sacro e profano, dove i colori si mescolano ai dolori, dove il domani è così imprevedibile, dove ogni volta che vince il Napoli sembra un riscatto per la gente. I napoletani aspettano il miracolo di San Gennato, aiutano gli altri, hanno la capacità di esserci quando serve. E’ una città dove guardando il mare sembra diverso da tutti gli altri posti, dove la cultura ti invade perchè si fonde nel viso delle persone. Sembra un palcoscenico aperto, anche nella tragedia c’è sempre chi inventa la chiusura finale per strapparti un sorriso. Nelle canzoni, anche in quelle da me scritte, c’è questo sentimento di dolore, di saudade. Non a caso Pino Daniele è riuscito ad attingere alla tradizione ma innovandola, creando un nuovo linguaggio post Salvatore Di Giacomo, Luciano De Crescenzo che hanno scritto brani che hanno fatto il giro del mondo cantati da tenori e poi da artisti pop”.

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Attualmente sei anche al timone del programma “Koprifuoco 2.1” in onda su Canale 21…

“Koprifuoco 2.1″ è un’esperienza bellissima che mi vede protagonista insieme a un gruppo di scalmanati. All’inizio quando mi è stato proposto ho avuto paura perché non sono un presentatore ma poi ho accettato la sfida. Ho un canovaccio con un argomento e cerco di intrattenere le persone a casa portando leggerezza attraverso la musica. Non mi aspettavo un risultato così importante, con numeri molto alti non solo in Campania ma a livello nazionale, con 80.000 spettatori nel solo Lazio”.

Tra i prossimi progetti c’è anche quello di partecipare nuovamente al Festival di Sanremo dopo il terzo posto del 2009 con “Non riesco a farti innamorare”?

“Ho provato qualche altra volta a partecipare, anche con Renato Zero, ma non è andata, nonostante le canzoni poi abbiano avuto un loro corso”.

Tornerai prossimamente a teatro con “La Fabbrica dei sogni”?

“Torneremo appena il protocollo ci permetterà di essere liberi, senza entrare nei teatri con il distanziamento, perché sono 89 persone che lavorano a questo spettacolo tra maestranze, artisti, accademie, ballerini e non si possono affrontare determinate spese giornaliere in questo momento. Aspettiamo, con la speranza che il prossimo Natale si possa ripartire a pieno regime”.

Sappiamo che sei un grande tifoso del Napoli, ti va di regalarci un ricordo del grande Diego Armando Maradona?

“Ho seguito e vissuto i due scudetti del Napoli, quasi ogni domenica ero allo stadio a vedere la partita, ho fatto cose assurde per la mia squadra del cuore di cui sono tifosissimo. Maradona ha rappresentato un riscatto per tutti noi, ha portato per mano questa maglia, l’ha onorata fino all’ultimo e ha onorato la città, infatti è rimasto molto legato a Napoli e l’ha dimostrato ovunque sia andato. Maradona era una figura all’epoca ingombrante, uno scugnizzo vero che con la bellezza del suo calcio ha messo tutti d’accordo”.

Concludo chiedendoti le emozioni che hai vissuto quando nel 1995 ti sei esibito davanti a San Giovanni Paolo II a Loreto…

“E’ stata la prima volta che ho incontrato Sua Santità Giovanni Paolo II. Quando mi sono esibito nella vallata di Loreto dove c’erano 450mila giovani mi tremavano le gambe, fu una continua invocazione alla preghiera affinché terminassero i conflitti in Jugoslavia, che era a un passo da noi, nell’altra sponda dell’Adriatico. Poi hanno chiamato gli artisti che partecipavano all’evento per avvicinarsi al Santo Padre e sono stato l’unico, ed è testimoniato da un video, a cui lui ha detto di non inginocchiarsi, mi ha tenuto su e poi mi ha baciato sulla guancia. Porto dentro al cuore quel momento e ogni volta che ci penso mi torna in mente quell’immagine bellissima”.

di Francesca Monti

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