La Senatrice a vita Liliana Segre al Memoriale della Shoah: “L’indifferenza porta alla violenza perché è già violenza”

La Senatrice a vita Liliana Segre ha portato la sua testimonianza nel corso dell’evento, promosso dalla Comunità di Sant’Egidio, dalla Comunità Ebraica di Milano e dal Memoriale della Shoah, per ricordare la deportazione degli ebrei partiti per Auschwitz dalla Stazione Centrale il 30 gennaio 1944 e nei mesi successivi.

“Vorrei ricordare l’inizio di questi appuntamenti venticinque anni fa, quando in pochissimi, in uno di questi sotterranei scoperti dalla Comunità di Sant’Egidio, venivamo qui con il Cardinal Martini e il Rabbino Laras, due uomini di Dio che si comprendevano tantissimo nella loro grande apertura spirituale. Non c’era bisogno di parlare, si stava lì. Quando poi questo luogo negli anni ha preso forma il nostro appuntamento è diventato sempre più importante finché si è arrivati alla costruzione di questo muro con la scritta Indifferenza che bisogna passare per arrivare ai vagoni. Ma questo muro è il passaggio dalla vita a quello che successe qui dentro la Stazione Centrale. Io sono una delle pochissime milanesi sopravvissute ad Auschwitz e tornate a casa. Conoscevo la parte sopra della stazione perché da bambina partivo felice per andare al mare, a Celle Ligure, con il treno”, ha detto la Senatrice a vita.

All’ingresso del Memoriale, Liliana Segre ha voluto scritto a caratteri cubitali la parola “INDIFFERENZA” per ricordare l’indifferenza dei milanesi di allora di fronte a quanto accadeva sotto i loro occhi e per richiamare con quel monito la responsabilità di ciascuno nel presente. Il ricordo dell’abisso di Auschwitz non appartiene infatti solo al passato, costituisce al contrario un monito ineludibile: nel momento in cui vanno scomparendo i testimoni di quella immensa tragedia è un dovere di tutti raccogliere la loro memoria e trasmetterla alle future generazioni. In un momento in cui l’affermazione, specie tra i giovani, di movimenti nazionalisti, sovranisti, complottisti e xenofobi suscita allarme in diversi Paesi, compresa l’Italia, la memoria della deportazione richiama tutti ad una maggiore vigilanza di fronte alla crescita dei pregiudizi antisemiti e razzisti.

“Quando ho pensato che da ragazza fui messa su quel treno con destinazione Auschwitz, nell’indifferenza generale che fu un silenzio colpevole e indimenticabile, allora mi sono battuta affinché su quel muro venisse scritto “Indifferenza”. Questa parola colpisce i ragazzini ed è il modo migliore per entrare a vedere il resto del Memoriale. Per arrivare a quel binario e a quei vagoni che non sono folkloristici come qualcuno ha osato dire, ma sono vagoni tragici in cui vennero stipati gruppi di persone, nel mio caso 600. Io sono stata 40 giorni a San Vittore con mio papà, so come si sta nelle celle. Eravamo vitelli che andavano al mattatoio, eravamo merci, eravamo pezzi. Nessuno ci ha fermato per strada, gli unici sono stati i detenuti di San Vittore che ci hanno dato l’ultimo saluto di grande umanità e questo mi obbliga oggi  a ricordarli perché ci hanno fatto sentire ancora persone e ad adoperarmi affinché i detenuti di quel carcere vengano vaccinati contro il Covid. Primo Levi dice in una sua bellissima poesia intitolata “Agli amici”: “Quando ognuno era come un sigillo. Di noi ciascuno reca l’impronta. Dell’amico incontrato per via. In ognuno la traccia di ognuno”. Quando ognuno è la traccia di ognuno non ci può essere indifferenza, un sentimento che porta alla violenza perché è già violenza. I violenti non erano solo i nazisti, erano aiutati anche dai fascisti, noi avevamo terrore, venivamo spinti qua dentro come un gregge diretto al macello, ci guardavamo intorno e sentivamo urla, grida, parolacce in italiano. Erano i nostri fratelli. Quando ci hanno messi nei vagoni e sigillati ognuno piangeva con le lacrime dell’altro. Oggi mi domando: dov’ero il 31 gennaio 1944 con i miei 13 anni? Ero su quel treno che dopo essere partito il 30 da Milano aveva passato il confine italiano e la gente quando dai finestrini ha visto che avevamo lasciato l’Italia ha iniziato a piangere. Io mi sono rannicchiata tra le braccia di mio padre. Quei momenti sono indimenticabili, il viaggio durava una settimana. Milano era ancora la mia città, dov’ero nata, cresciuta, andata al cinema, a scuola, dov’ero stata così tanto amata ma il giorno dopo ero già una ragazza vecchia che cercava di non sentire e di non vedere, che cercava di sottrarsi alla disperazione e di avere quella forza che devono avere gli adolescenti per i quali ci si preoccupa tanto ma che in realtà sono fortissimi e possono cambiare il loro destino e quello dei loro  genitori, spesso deboli e incapaci di educarli”.

All’incontro sono intervenuti Andrea Riccardi (Fondatore Comunità di Sant’Egidio), Roberto Jarach (Presidente Fondazione Memoriale della Shoah di Milano), Rav Alfonso Arbib (Rabbino Capo di Milano), S.E. mons. Mario Delpini (Arcivescovo di Milano), Giuseppe Sala (Sindaco di Milano), Mauro Palma (Presidente del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale), Jovica Jovic, musicista rom, che ha suonato in memoria dello sterminio dei rom e dei sinti.

di Francesca Monti

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